Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
Lettere di .A.lessandro lJ!lanzoni a Niccolò Tommaseo 515 glieremo troppo, pensando al carattere scontroso del dalmata. La causa? Non è improbabile che il contegno del '.Vommaseo verso Donna Giulia (sappiamo, per sua stessa confessione, che egli trattò spesso con « ru– sticità>> la madre del Poeta) desse luogo in casa Manloni a qualche commento, o a qualche giusto rilievo, malamente interpretato da chi ne, era l'oggetto. Il 'l'ommaseo, pare, pentito, si doleva d'aver amareg– giato e offeso il Manzoni ; ma q_uesti, con longanime indulgenza, e, met– tendosi alla pari con quel selvatico ragazzo, vuol dissipare ogni ombra : « Ella h3: franteso, io posso avere straparlato : facciam monte, e siamo come puma». Documenti di umanità, queste lettere del '25; le ultime due, del '30 e del '33, hanno invece interesse e valore letterario, ricollegandosi al– l'opera del Manzoni critico e a due questioni che occupàrono per lunghi à-nni la sua mente : quella della lingua e quella dei componimenti misti cli storia e d'invenzione. Si sa quanto il Manzoni fosse restio a dar giudizi sulle opere ·altrui, e con che garbo se ne schermisse: « È fortuna degli altri non men che mia» - scriveva a Luigi Muzzi il 15 febbraio 1830 -- « che l'avversione da questo ufizio del ,sentenziare su gli scritti altrui sia in me pari all'incapacità dell'esercitarlo, vale a dire esimia>>. Ma al Tommaseo non sapeva rifiutarsi: il che prova, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'aveva nel novero dei suoi amici migliori. Fino dall'ottobre del '27 .il Tommaseo era passato da Milano a Firenze, collaboratore all'Antologia del Vieusseux. Nel '29 aveva, pub– blicato un saggio di quel Diziotia,rio dei Sinonimi che poi stampò dal Pezzati a, Firenze, fra il '30 e il '33. Chiamato a dare un giudizio su questo saggio, il Manzoni, con modestia rara, azzarda << sommessivissi– ma.mente » qualche dubbio. Non conosceva, ancora la prefazione; quando l'avr:'t, conosciuta, i dubbi, anziché essere sciolti, cresceranno: occorre appena ricordare un'altra sua lettera al Tommaseo sullo stesso argo– mento, dello stesso anno ma posteriore a questa nostra, non finita né spedita mai, e che, rinvenuta, in due diverse stesure, tra le carte man– zoniane, fu pubblicata dal Bonghi. Qui i dubbi gli danno occasione di r affermare i suoi criteri fondamentali in fatto di, lingua: doversi cioè la lingua fondare non sull'autorità degli scrittori, ma sull'uso; e per l'Italia sull'uso toscano (più tardi ristretto all'uso fiorentino). ~fa quello che dice dei poeti - e che par quasi un'amabile canzonatura degli allievi delle Muse, sé compreso - dimostra come la teoria man– zoniana della lingua parlata dovesse nella sua applicazione pratica restringersi alla prosa; anzi, si può dire di più, alla prosa corrente: poiché, come la poesia, così e ?gni. g~nere di prosa eletta non può sottostare alla legge dell'unità lmgmstlca. L'ultima delle nostre lettere ci richiama a una delle opere man– zoniane di critica più discusse. Quando la scriveva, il Manzoni aveva già messo mano a. quel discorso Del romanzo storico, poi ~r3:lasciato, _e compiuto. solo molti anni dopo, nel quale ·condanna tutti 1 co_mpom– menti misti di storia e d'invenzione, romanzo epopea tragedia, per , 1bl oteca Gino Bianco
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