Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929
634 M. Bo:N'rEMPELLI, ll figlio di dite madri del Manzoni e l'Ottuagenario del Nievo, e le belle trame provinciali di Ver"a e di Foo·azzaro; senza contare, anzi, voglio dire, facendo grandis– simi conto di 0 tutta quella nostra indiavolata novellistica dal Tre al Novecento (e qui ricorderò di passaggio che Papini, venti e passa anni addietro ha scritto tre o quattro volumi di novelle, che, giudicando molto all'ingrosso, potrebbero anche dirsi bontempelliane avanti lettera, in– clinate come sono al gran fantastico) che rallieta la nostra letteratura, austera, e solenne anzi che no. una novella ,è spesso un romanzo in nuce. Ora, verrebbe voglia di chiedersi, quando è che una novella diventa romanzo ? Gli spagnuoli chiamano « novella» anche un romanzo di cinquecento pagine. Noi, fa– remo una questione di lunghezza,? La Novella del Grasso legnaiuolo prende già una settantina di pagine. Se arrivasse alle cento, sarebbe già un romanzo ? E la Carmen di Ménimée è ancora una novella o è già un romanzo ? Oppure, faremo una questione di andatura e di tono ? Verga, conserva il tono della novella anche al romanzo, né direi che la penna della Deledda, di Panzini, di Cicognani faccia un salto passando da un genere all'altro. Non resterebbe che fare questione del lusso ·mag– giore o minore degli episodi laterali o degli sviluppi de' casi di coscienza di questo o quel personaggio o della quantità delle avventure che ca,pi– tano al protagonista. Ma anche questo è un criterio che dà poco lume. Oi sono delle novelle di venti pagine stipate di fatti e dei romanzoni dove non ,succede nulla, ci sono delle novelle dove passa tutta una vita e dei romanzi che cominciano alle sette di sera e a mezzanotte son finiti. Quanto poi alla grande abbondanza degli episodi laterali bisogna stare attenti che quello che si creda un requisito del romanzo non venga poi ad essere un difetto bello e buono, che testimoni tanto o quanto il gusto barbarico dello scrittore; e quanto poi all'abbondanza delle notazioni psicologiche uno scrittore italiano non dovrebbe mai dimenticare che in Italia le cose si capiscono a volo o non si capiscono per niente e che il gusto delle troppo sottili introspezioni da noi poco attacca. Compar Alfio butta le braccia al collo di Turiddu e Turiddu morde l'orecchio deì carrettiere. Un mar,ito dostoievschiano avrebbe invece fatto chi sa che lungo discorso, magari col risultato di tenersi le corna in santa pace. Una delle norme principali del racconto italiano mi pare proprio che dovrebbe essere quella di non andare mai per le lunghe. (Racconto: ecco una parola che suona al mio orecchio molto più comprensiva e calzante che non romanzo o novella. •Se Dio mi dà vita voglio scrivere un racconto che nessuno possa prendere per una novella, che nessuno possa scambiare per un romanzo .... ). Tutto questo ragionamento per dire una cosa ben ovvia, e,, am– metto, piuttosto banale: e cioè che Papini può aver sì la sua parte di ragione a metterci in guardia contro il romanzo, visto che oramai pe:r, la parola romanzo la memoria corre subito ai modelli russi, fran– cesi ecc. che hanno corso tanto mondo; ma che siccome s:iamo sicuri che neanche Papini si sogna di negare la cittadinanza italiana a un genere lett~rario che ha avuto per fondatori un Boccaccio, un Sacchetti, non vediamo poi la ragione cli escludere a priori che domani da una novella ( . BibliotecaGino Bianco
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