Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929

Lettera a Giovanni Papini 613 Ho <letto che tutto questo lavo·1·0 s'è compiuto negli ultimi ti·enta anni, nonostante le avversità <l'ogni genere. Le poche lettrici e i po– chissimi lettori italiani si nutrono infatti più di romanzi stranieri, specie francesi e inglesi, che italiaui, perché questa è Rtata la consue– tudine delle loro mamme, nonne e bisnonne; perché il francese e l'in– glese sono lingue che esse lettrici hanno apprese da bambine e parlano di frequente nel bel mondo; e perché queste lingue sembrano garan– tire la bontà d'un libro come il nome d'un sarto in Oxford Street o in Rue de la Paix garantisce (esse cre,lono) l'eleganza d'un vestito. Al– l'unità, poi, della lingua che anche nel dia.logo questi romanzieri si sforzano di raggiungere, manca ancora una sicura rispondenza nella vita reale, perché se è vero che, dopo quasi sessant'anni d'unità, nazio- , nale e specie dopo la guerra, i dialetti sono sempre meno parlati dalle classi dirigenti di Torino, di Milano, di Genova, di Venezia o di Napoli, essi però restano ancora, sopratutto in provincia, la parlata corrente, né il popolo fuor di Toscana sa esprimersi altrimenti, né l'italiano che la piccola borghesia si sforza di parlare quand'esce di casa, raggiunge mai la pittoresca ricchezza e l'icastica precisione del dialetto, ma è piuttosto una pallida contaminazione di esso dialetto con un misero dizionario e una sintassi barcollante. Cosi mentre tutti i francesi e gl'inglesi lettori di romanzi si esprimono nella ,stessa lingua in cui questi romanzi sono scritti, e vedono perciò ,specchiarsi in essi interi e limpidi i loro sentimenti, costumi, scrupoli e casi, i tre quarti del pubblico italiano trova ancora nei romanzi ita.liani qua,si un aulico ,accomoda– mento e una « copia in bello ii cli quei suoi sentimenti, azioni e parole; e così il libro straniero non gli è molto più estraneo di quello italiano. E questa osservazione, se è vecchia, è purtroppo :sempre vera; e pesa anche sul teatro. ,Sarà sbagliata tra qualche anno quando l'Italia sarà, anche nella favella, unificata come si è già venuta unificando nel co– stume con vantaggio di questi romanzieri; e anche per questo s'ha d[L ayer fiducia nel progresso dell'arte narrativa la quale in una società più stabile e compatta troverà favella, modelli e contra.sti sempre più general'i e lettori sempre più convinti; e intanto, s'ha da ringraziarla -perché, precorrendo e quasi insegnando e predicando questa unità, con– tribu:iisce a crearla. Che cos'è, le chiedevo nell'altra pagina, il romanzo vero e proprio? Ora m'avvedo ch'ella, accennando ai nostri poemi cavallereschi, osserva nulla trovarsi in essi << che corrisponda all'arte narrativa, intima e a,nalitica, dei moderni JJ. Per romanzo ella dunque intenderebbe solo quello intimo ed analitico ? E solo a questo gl'Italiani sarebbero ina– datti ? La sua condanna mi sernbra, éd è sembrata a tutti, totale; ma, se si limitasse al romanzo intimo ed analitico, mi lasci dire che, passata la moda nel confronto coi Francesi per natura loro moralisti, casuisti e anche' sofisti il vantaggio potrebbe essere nostro. Gl' Italiani in– fatti dal Bo~cio al Manzoni e al Verga, considerano la narrazione com~ un séguito di fatti, anche minuti ma tutti certi, e colgono la così detta psicologia dei personaggi nei suoi momenti esterni e pratici quand'essa si muta in gesti, in detti, in 3:zioni, che è il proprio_ della let– teratura classica, anche di quella francese, quando, da, Corneille a Mo- BibliotecaGino Bianco

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