Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929

Lettera a Giovanni Papini 611 lettere a, un maresciallo di Francia., gli s'inumidiscono gli occhi, ché pensa all'Accademia dei Qua,ranta immortali tutti uomini di lettere. In Inghilterra le buon,e lettere, da Disraeli a. Balfour, sono un orna– mento e una garanzia perfirro tra gli uomini politici. Dove però lei ed io non si va d'accordo è nel negare agl'Italiani la, capacità di scrivere romanzi. In questa diffidenza dalla, quale trapela un poco di dispregio per queAt'arte, ella ha dei nobili antenati, ché dal Carducci si può risalire al Petrarca quando sdegnosamente scriveva del Decamerone al Boccaccio di non averlo letto « a.nche perché troppo voluminoso e scritto pel volgo e in prosa». E trova, compagni proprio in quella terra di Francia ch'ella, forse con un ritar.do d'alcuni anni, s'ostina a credere maestra sola e amatissima degli s crittori italiani. E di Jacque8 Bainville questo giudizio reciso: « L'errore principale dello ' stupido secolo decimonono' nella letteratura è stato d'aver fatto del romanzo un'opera d'a,rte, a,nr.i d"avervi veduto un'opera d'arte.» E due anni fa uno scrittore il quale per essere là ca,ro a molti Letterati cattolici può darsi che sia caro anche a, lei, Henri Massis, ha scritto un libretto Sull'arte del romanzo dove quella presunta contraddizione tra romanzo e opera d'arte è descritta per lungo e per largo, a cominciare dalla maligna ipotesi di Stendhal sul metodo con cui Balzac doveva scrivere i suoi romanzi, in due tempi, il primo in modo corrente e ra– gionevole, il secondo rivestendoli e infioccandoli con belle frasi. Ma non è questo il momento per imbarcarci in un'altra disputa: se e quanto e come possa il romanzo, nella patria dei Promessi Sposi, venir consi– derato un'opera d'arte letteraria. Ed evito adesso anche un'altra domanda,: che cosa ella intenda per « romanzo vero e proprio», visto che si chiamano con qnesto nome Da.vid Gopperfield e A la recherche du temps perdu, Le Rouge et le Noir e Ulysses, che è come chiamare europei un siciliano e un lappone perché di fatto vivono tutti e due in questo spicchio di terra nominato Europa e, per questo, disperarsi a cercare i loro tratti simili. Ormai quasi tutti i romanzi si possono chimicamente decantare nei vari elementi in cui ella decanta quello del Manzoni, e trovarvi lirica, satira, storia, cronaca, eloquenza, ai;itobiografia. Da gran tempo, per esempio, è stato risolto il problema, quanto dell'anima cli Gustave Flaubert sia nell'anima di Emma Bovary, nel senso che ve n.' è molta; ma vorremmo per questo negare che il Flaubert sia un romanziere? Oggi a me importa solo affermare: uno, che gli scrittori ita]iani sono venuti, è vero, buoni ultimi a trattare quest'arte narrativa, anche per la suddetta ragione che nell'aulica tradizione della, nostra lettera– tura l'arte narrativa era sempre sembrata un'arte inferiore, greggia, fortuita e quasi dialettale; due, che, pur avendo contro loro in quest'arte ogrii sorta d'ostacoli essi scrittori hanno in pochi anni creato opere deO'ne di provare no~ solo la capacità degl'Italiani a scrivere romanzi m: anche la loro capacità a risolvere quel dissidio tra letteratura e ro– manzo che, come dicevo poco fa, sembra a tal~ni francesi ed inglesi anc6ra mal risolto dai romanzieri dei loro paesi. Il solito Piccolo mondo antico e i soliti Malavoglia, ella dice. La– sciamoli pure da parte, tanto non mancheranno mai di fedeli. Ma dei BibliotecaGino Bianco

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