Pègaso - anno I - n. 5 - maggio 1929

606 U. Jf'racchia scita O di una morte scrundalosa: - Pr,eindete esempio dai Iupi– ter - dicevano. E il detto divenne p,resto proverbiale. 'n carrnbiamento di casa, gli amici dell'Università per Benedetto, il suo lavoro d,i biblioteca, il dono che egli poté fare a suo padre,. il giorno del suo complerunno, d'un grande cappotto di pelle, da montagna, l'inizio di un nuo<voscavo per il maggiore lUJPiter dopo il primo sfortunato, llinquietudine che s'era diffusa nell'aria al ripetersi sempre più insistente della parola pace mentre tutti gli eserciti parevano di nuovo fermi e come stremati dal loro stesso slancio dopo le ultime battaglie non decisive, questo seguito di cir– costanze insomma fece sì che il tempo corresse per tutti straordi– nariamente veloce fino agli ultimi giorni di ottobre. Allora inco– minciò a piovere come da un pezzo non ,si vedeva. Non erano più gli acquazzoni di settembre, alternative di nuvolo e di sereno, che, come suol dirsi, non bagnano neppure la polvere, ma una specie dì diluvio che fece gonfiare e straripare i fiumi e coprì la terra di un fosco vestito di lutto. Sotto questa pioggia giunse, il 27 ottobre,, una letterina di Miassi:mo. « Miei cari, - diceva, - non dovete spaventarvi di nulla. Pic– cole cose, per meglio resistere a un altro inverno. Da quasi qùattr0< anni non vi vedo. Ma, se tutto va bene, ora che :finalmente siete in Italia, finita questa partita, poso le carte sulla tavola e vengo per un paio di settimrune a sedermi fra voi. Il mio Generale me 111e ha già dato la sua parola. Prego la maJIDmae Alessandra di prepararsi a ricevere una specie di orso riccio, qualche cosa come una barba, nella quale si sia avvoltolato· un uomo. Dite a Benedetto che mi aspetti, e che se Dio mi lascia gli occhi voglio vedere come è fatta. quest'araba ·fenice del mio fratello minore. E vorrei che mi aspet– tasse anche il nostro caro nonnino. Datemi, babbo e mamma, la vo– stra santa benedizione. Viva sempre viva! A noi, a noi ! Vostro Massimo.)) Proprio quel gioroo, nelle nuvole che i venti rotolwvano :fino ai. p,iedi delle montagne come a ceptuplicare l'empito dei fiumi già gonfi e a sollevare il fango della terra massacrata, era nascosto .i} primo raggio della pros·sima aurora. Ma nessuno lo poteva vedere, e· tanto meno il maggiore Iupiter dal fondo della sua r:i,messa dove, per quanto non avesse nulla da pestare nel bel mortaio d'agata o da. bruciare sul carboncino aicceso, paissava ore di solitudine sempre– più cupe e agitate. Spesso si affacchwa alla porta per scrutare il cielo, ma non si ricordava neppure della trivella che, abbandonata, arrugginiva sulla montagna, o del suo nuovo scavo, già otto metri profondo e certo per otto metri già pieno d'acqua e di melma. Il tuono lo sentiva volentieri. Era come l'eco, per lui, delle artiglierie– troppo lontane, o come il galoppo sfrenato di un carro sul quale, BìbliotecaGino Bianco

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