Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929
466 U. Fracchia ·_ Lavorando, come ieri avevamo deciso. _ Oh! lavorare! Se tu sapessi quanto è difficile trovare lavoro! Se non si è cuochi o becchini non se ne trova. Figurati che ho inciaID[)ato in un vecchiettino che parla in rima. Ragazzo, dice, per lavorare, bisogna prima penare penare. - Davvero? - chiese ridendo Alessandra. - Davvero. E. le raccontò di quel povero vecchierello. In quel momento, o IJ)OCo prima o poco dopo, il maggiore Iupiter, terminata la sua lettera, la infilò in una busta, ma, invece di chiu– derla, incominciò a guardarsi intorno, uscì sul corridoio, rientrò Ìn camera, lasciò cadere la lettera, la raccolse, cercando insomma il modo migliore perché Benedetto potesse trovarla senza fatica e leggerla a suo bell'agio. Infine pensò di metterla in una tasca della giacchetta che, come il solito, aveva appesa fuori dell'uscio, all'uncino. Là rimase tutta la notte indisturbata, e invano due o tre volte, nell'agitazione dell'insonnia, il màggiore Iupiter si alzò iper andare a vedere, cautamente, se mai fosse scompar~a. Poi quella lettera per due o tre giorni si vide un po' da per tutto, lasciata a caso qua e là fra i giornali, sulla tavola doipo il pranzo, sul letto del nonno, ma nessuno mai/pensò nemmeno di toccarla. Finché, ·sperando d'avér raggiunto il suo scopo e in ogni modo ormai sicuro che, se Benedetto non l'aveva ancora letta, non l'avrebbe letta mai più, il maggiore Iupiter colse il momento migliore per farla in mille minutissimi pezzi, e la gettò al vento, mentre due o tre ra– gazzi, che giocavano sotto la sua finestra, correndo IJ)eracchiappate al volo qualcuno di quei pezzettini di carta, gridavano a squarcia– gola : - Nevica ! Nevi ca ! XXVII. Non nevicava, ma cadeva la prima acquerugiola d'autunno e H settembre si annunciava nuvoloso e piovorno. Passarono così tre o quattro giorni in cui tutti insieme, ed ognuno per conto proprio, tranne il nonno, sembravano in attesa di un avvenimento che non avrebbe dovuto essere lontano. Aprendo ogni mattina, la sua fine– stra, il maggiore Iupiter guardava il cielo a destra e a sinistra, per quel .t,mto che se ne poteva vedere in quella viuzza, comef se la «novità>> che egli aspettava dovesse arrivare volando presso a IJ)Oco a quell'ora. Vedeva un cielo bigio, le nuvole spesse e fumose e i fili della pioggia che rigavano le meschine facciate delle case di contro. Egli non aveva più rivolto la parola a, Benedetto, non per– ché si sentisse ancora adirato con lui, ma perché i suoi princÌIJ)i glielo vietavano, e non poteva ammettere che un figlio, il quale BibliotecaGino Bianco
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