Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929
I 460 U. Fracchia xxv. A lungo, non si sa se più stupito di sé o più attonito per quanto era accaduto, nella solitudine della propria stanza, il maggiore Iu– piter rimase seduto sulla poltrona con quella lettera fra le mani. Egli si perdeva in un esame di coscienza complicato come un labi– rinto ed era tormentato da due idee una più dolorosa e rivoltante dell'altra: come uno che, trovandosi chiuso in una prigione, debba non solo pensare di non poterne uscire mai più, ma anche di es– serci entrato volontariamente, gettando la chiave dalla :finestra. Che cosa aveva detto a suo figlio? La verità o una bugia? Questo era il meno. Fosse bugia o verità, ormai soltànto quello che aveva detto contava, ed egli avrebbe in ogni caso dovuto comportarsi come se fosse la verità. Ma, praticamente, è mai possibile costruire qual– che cosa sopra una bugia? Come fondare sul nulla la vita di un'in– tera famiglia? Egli si guardava intorno e vedeva passare dinanzi a sé prospettive una più vuota e vana dell'altra. Vedeva un piroscafo mezzo rovesciato sopra uno scoglio, un mare burrascoso, una barca che scivolava sui cavalloni, una catena di montagne azzurrognole all'orizzonte, al_cuni marinai che giravano bestemmiando la ruota di una 1pompa. Più vicino e reale ecco il quadro di quelle pietre di cui era ingombra la sua stanza, inutili pietre, briciole di ricchezze svanite o irraggiungibili, zavorra da buttare in mare, e dietro quelle pietre una camera d'albergo, pretenziosa ma squallida, un letto dove nessuno era morto mai e nessuno era nato, suppellettili senza tracce umane se non di sudicio e d'abbandono, niente che lontana– mente potesse somigliare a una casa. Faceva scorrere, come un pa– ravento, la parete che aveva di fronte, ed ecco Celeste che, coricata nel suo letto, i bei capelli sparsi sul guanciale, dormiva tranquilla e :fiduciosa, ignorando che il suo capo e tutta la sua vita, e quella dei suoi figli, riposavano sopra una vuota bugia. Rivedeva infine una quercia accidentata, un verde prato, cumuli di rocce brune, tre muli infioccati di lana rossa, una tovaglia distesa sull'erba, e qui si fermava, per ritrovare sé stesso, seduto in nna poltrona, con una lettera in mano. Il suo presente era tutto qui, e in pochi biglietti di banca che volavano via ogni giorno e che in pochi mesi avrebbero lasciato deserto il nido delle sue tasche. Dietro di sé, un naufragio. Davanti a sé, niente altro che il tempo. Cercava di riassumere, di riepilo– gare. Immaginava di essere un giocatore con un mazzetto di carte in mano. Con quelle bisognava giocare e vincere. Che strane figure erano quelle ? Una nave : sta bene, era il suo viaggio di mare. Bisognava scartarla. Una regina: Celeste. Un re da burla, un re con un cappelluccio di paglia e un sacco di denari, ma vuoto: era BibliotecaGino Bianco
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