Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929

410 L. Pirandello crede d'aver trovato la liberazione e raggiunto la quiete fissando per sempre in una forma immutabile la sua opera d'arte. Ha sol– tanto finito di vivere questa sua opera. La liberazione e la quiete non si hanno, se non a costo di finire di vivere. E quanti le han trovate e raggiunte sono in questa miserevole illusione, che credono d'ei-sere ancora vivi, e invece son cosi morti che non avvertono pÌIÌ nemmeno il puzzo del loro cadavere. Se -un'opera d'arte soprav– vive è solo perché noi ipossiamo ancora rimuoverla dalla fissità della ima forma; sciogliere questa sua forma, dentro di noi, in movi– mento vitale ; e la vita gliela diamo allora noi : di temipo in tempo diversa, e varia dall'uno all'al~ro di noi: tante vite e non una; come si può desumere dalle continue discussioni che se ne fanno e che nascono dal non voler credere appunto questo : che siamo noi a dar questa vita; sicché quella che do io non è affatto possibile che sia uguale a quella di un altro. Vi prego di scusarmi, signori, del !ungo giro che ho dovuto fare per venire a questo, che è il punto a cui volevo arrivare. Qualcuno potrebbe domandarmi: « Ma chi ha detto a lei che l'arte debba esser vita? La vita deve sì obbedire alle due necessità opiposte che lei dice, e perciò non è arte; come l'arte non è vita proiprio perché riesce a liberarsi da codeste opposte necessità e consiste per sempre nell'immutabilità della sua forma. E ben per questo l'arte è il regno della compiuta creazione, laddove la vita è, come dev'essere, in una infinitamente varia e continuamente mutevole formazione. Ciascuno di noi cerca di. crear sé stesso e la propria vita con quelle stesse facoltà dello i;:ipiritocon le quali il poeta la sua opera d'arte. E difatti, chi più n'è dotato e meglio sa adoperarle, riesce a raggiungere un più alto stato e a farlo consistere più durevolmente. Ma non sarà mai una -vera creazione, prima di tutto perché destinata a deperire e a finire eon noi nel temipo; poi perché, tendendo a un fine da raggiungere, non sarà mai libera ; e infine iperché, esp9sta a tutti i casi impreve– duti, imiprevedibili, a tutti gli ostacoli che gli altri le oppongono, rischia continuamente d' esser contrariata, deviata, deformata. L'arte vendica in un certo senso la vita, perché, la sua, in tanto è vera creazione, in quanto è liberata dal tempo, dai casi e dagli ostacoli, senz'altro fine che in sé stessa.>> Si, signori, io rispondo, è proprio cosi. E tante volte, vi dico anzi, m'è avvenuto di pensare con angoscioso sbigottimento al– l'eternità di un'opera d'arte come a un'irraggiungibile divina soli– tudine, da cui anche il poeta stesso, subito dopo averla creata, resti escluso: egli, mortale, da quella immortalità. Tremenda, nell'im– mobilità del suo atteggiamento, una statua. Tremenda, questa eterna solitudine delle forme immut~bili, fuori del temipo. Ogni BibliotecaGino Bianco

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