Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929

498 B. CROCE, Storia della età barocca in_ Italia tato Della dissimulazione honesta, pubblicato a Napoli nel 1641 e ri– stampato l'anno scorso dal Laterza a cura del Croce medesimo. La« dis– simulazione honesta » dell'Accetto non è la .finzione utilitaria, la men– zogna immorale; ma, in sostanza, il controllo di sé medesimo, il dominio delle proprie manifestazioni esterne, e, che più conta, la capacita di sapersi sottrarre nel proprio intimo alle proprie preoccupazioni e mi– serie. Il Croce analizza finemente la psicologia dell'autore, che prati– camente viene rivelato da lui al pubblico letterario italiano, raffigu– randolo come « un'anima, che aveva dovuto assai soffrire per le punture degli uomini e delle cose, e insieme una delicata coscienza morale, che, come dice, sa di doversi muovere sulla terra, ma non dimentica il cielo. » Si capisce che al Croce, il quale dalla teoria e dalla storia dell'este– tica ha preso il suo punto di partenza filosofico, sia riuscito di parti– colare interesse lo studio della « poetica,, secentesca. Il Seicento non abbandona ancora completamente la teoria dell'arte come allegorismo e insegnamento filosofico e morale, teoria medievale mantenuta ancora nel Rinascimento (« 'l vero condito in molli versi,, della Gerusalemme liberata). Ma la teoria ormai dominante era quella dell'arte come diletto, la quale, rileva giustamente il Croce, segnava un progresso sulle precedenti, in quanto che veniva ad affermare un valore ed un fine in– trinseci della poesia. E progresso m1cor più notevole fu quello di lumeg– giare e dar risalto a un concetto fino allora « poco avvertito e poco ado– prato ,, : quello del gusto, o, come anche si disse, del « senso ii o del « sentimento ,,, quale una, facoltà, speciale dello spirito cui apparteneva il giudizio sull'opera d'arte. Era, infatti, un riconoscere che questo giu– dizio si distingueva dal raziocinio logico e dal senso morale, e quindi, almeno implicitamente, che l'arte era qualcosa al di fuori di queste due sfere. Ne derivava logicamente, e corrispose di fatto, un certo abbassa– mento delle regole date dai precettisti, dei modelli universali costituiti da loro per i diversi generi di poesia. Come s'individualizzava e si libe– rava il giudizio sull'arte, attraverso il concetto specifico del <<gusto», così la stessa fi:l,COltàartistica diveniva qualche cosa a sé, che venne detta «ingegno», e doveva nel secolo seguente appellarsi «genio,,. Ar– rivato a questo punto, il Seicento fece un passo di più : scoperse « il concetto della individualità o personalità artistica, e dello stile che n',è l'espressione. ,, Questi fortunati avviamenti, queste conquiste critiche non più per– dute si ritrovano in autori anche oggi di qualche fama, come il Bocca– lini, il Bentivoglio, il Menzini; ma anche, e non per la parte minore, in altri di cui oggi sono dimenticati anche i nomi, come il Mascardi, il Pellegrini e quello stesso Zuccolo, che abbiamo già visto trattatista acuto della« ragion di Stato,,. E se questi germi di nuovi e giusti concetti sulla natura dell'arte fossero stati allora sviluppati logicamente e completa– mente, ben poco il Seicento avrebbe lasciato da fare all'estetica moderna. Ma quel diletto scopo dell'arte, quel gusto e ingegno specifici del critico d'arte e dell'artista erano· ancora troppo intesi in modo sensuale, este– riore, secondoché portava, insieme con l'immaturità del pensiero, la tendenza artistica effettiva del tempo : il barocchismo, che proclamava BibliotecaGino Bianco

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