Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929
,. / / I s. FRRRARI, 1 versi e il Mago 1 493 chetti, non le Stanze, ma le canzoni a ballo del Poliziano, e i rispetti e gli strambotti che forse prima conobbe nella gloriosa racco~ta del Oarducci, basterebbero; credo, p, preparare ril letto1·e, e il suo piacere, a questa poesia preziosa e rara. Certo ci furono altri poeti che scris– sero con la stessa ispirazione e aspirazione: nel cinquecento, anzi nel tardo cinquecento, per ricordarne uno solo, lo .Strozzi. Ma quello era già un ricalcare i madrigali petrarcheschi con un gusto corrotto (o con tutt'altro gusto), é con l'oreochio teso a certi modi complicati quanto esterni, aspettando che poi venisse la musica, la· vera musica, a dar loro f01·ma e sostanza. · Severino, una musica sua dentro la portava, quanto più viva tanto più corta, quella cioè che fa belli i canti popolari; e per questo, io dico, non per letterario artificio, ne aecettò la maniera del comporre discontinuo e avventante. (Così il Pascoli di alcune Myricae, sebbene con una vibrazione più inte:nsa, più nuova, più inquieta. Ma gli si avvicina. in una o due cose brevi, viste con curioso e sorridente sguardo, in questa, ad es., c~e comincia: <clmbruna; e di già l'ombra ne la s~anza Incurva l'ala su 'na biainca fronte ecc.>>; meglio se subita– mente rapisce ·ritmi e armonie, come in questo verso solo, dove nel ricordo vede le chiome della canapa « Gonfie a sera di canti- e voli e lampi>>; o, se·compone le parole su un sottil tema leggiadro: « A torno· e:ra il ronzio De l'api ehe veleggiano immortali Dal Mincio à l'Arno crepitando l'ali»). Guardate invece i suoi endecasillabi sciolti e i suoi sonetti, forme più complesse, dove negli ultimi anni cercò di espri– mersi con più ambizione, e con animo, che non e~a il suo, 1 oraziano, civile e storic(i). I sonetti non paiono cosa in nulla di Severino, dove le rime belle delle sue poes.ie belle non ;risuonano più; e >gli I endecasil– labi mancano di quella varia, continuata e necessaria armonia, e si raggruppano costantemente in periodi strofici senza né 111 proprietà né la facilità delle forme chiuse. (Vogliamo ricordare le Rimembranze 1 di scuola del Carduéci ?). Severino, anche quando tentò composizioni più vaste, non seppe mai rinunciare a metri ben certi, anche se d'una struttura elementare; e si servir di serie di madrigali, o di rispetti (i Rispetti oontinuat-i del Poliziano), o di quartine arieggianti la sem• plìce tess.itura delle rornaneHe (in quartine scrisse il Mago). Le bal– late, si anche le ballate; ma non resistono se non in un minimo cli estensione, di sette versi appena (« Testina d'oro, cantano già i galli»), •o nell'altre, dove l'ottonario rapido affretta le lunghe strofe (,« Ora con l'alba rosata»). A comporre quelle, che paiono 'canzoni, del Cavalcanti, ci bisognava più. respiro, più ala; o quelle ancora, in tutti endecasil- labi, ,del Poliziano, più inusica e colore. 1 Ma si deve parlar solo di forme, discorrendo della poesia di Se– verino? Veramente questo non è, come parrebbe, un muover~ dal– l'esterno, ma un riconoscere l'originalità della sua arte, e il suo si– gnificato, dal punto stesso da cui egli riconobbe la tradizione, si ricollegò alla tradizione vi trovò la ragione del suo poetare. Era, ricordate, sc0- . laro del Card~cci, per il quale un verso e una strofa esistevano, peJj sé. Il libro dei suoi versi, infatti, s'apre con una, prefazione poet~ca,
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