Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929

478 P. Pancrazi discorsi, saggi, note, commenti, prefazioni. Dalle molte pagine del Mar– tini, nonostante i pericoli della conterraneità e delle occasioni comme– morative, esce un Giusti né incoronato, né velato; un Giusti con le sue ,·irtù e i suoii difetti, di proporzionata statura. Nel '94, ma in un discorso, il Martini aveva detto il Giusti « poeta grande. >>Ma andate a rileggere. Quel « grande>> restava piuttosto nella parola cl:renon informasse di sé o compromettesse il giudizio. Era possibile che il Martini, e poi in un di– scorso, regalasse un aggettivo; più difficile era, con quel suo equilibrio, che si sbagliasse nel giudicare. Tuttavia quel « grande, >> trent'anni dopo,. lo ritoccò. - Oggi non lo scriverei. Mi troverei domanf molto imbaraz– zato a epitetare, dato il caso ch'io avessi a discorrere del Leopardi, del, Manzoni, del FÒscolo. - Le son chicche ohe non possono esser fatte che in 'l'osoana e in Toscana ohe da lei - aveva scritto il Manzoni al Giusti, delle poesie di lui. E il Martini: - Avrebbe egli chiamato chicche le· oùi pariniane, il Sabato del villaggio, l'ode All'Amica risanata e per modesto ch'ei fosse, la sua Pentecoste? Rispondere equivale a risolvere.- Della prosa del Giusti, ossia dell'Epistolario, ché le Memorie gli parvero e sono bellissima prosa, fu giudice forse anche troppo severo. - Salvo poche, quelle lettere odorano di rinchiuso; invece dell'accademia togata c'è l'accademia vernacola, ma l'accademia c'è. L'arte non giunge a, nascondere l'artifizio e la lima soverchia non aguzza lo stile, lo smorza. - Vero è che qui il Martini parla a suocera perché nuora intenda. Tra le· antipatie letterarie, e ne ebbe, nessuna forse fu in lui così viva come quella costantemente nutrita per gli scrittori « toscaneggianti ll, i pro– fessionisti della <<toscanità>>. Il senso in lui prontissimo del ridicolo, la. misura, il buon gusto, tutto il suo temperamento di scrittore ripugnava a costoro. Fautore ed esempio egli stesso di una prosa, viva, non letteraria,. con cui si può dir tutto e tutto bene, iemeva forse che l'uggia e la sazietà del toscanismo ci riportasse per reazione alla prosa d'amido e letterata. Ecco che sembra di sentirlo parlare: - Il Giusti scriveva tre essere le razze di prosatori al suo tempo : i pedanti, numerosa :figliolanza messa. al mondo dal padre Cesari, quantunque monaco e stretto dal voto del' celibato; gli anfibi, il formicolaio, cioè, dei traduttori, dei redattori, dei compilatori, Goti della lin_gua italiana; i trascendentali infine, dallo stile volitante ed aereo. S'egli tornasse oggi al mondo troverebbe la prima molto assottigliata e barbogia, la seconda cresciuta, a dismisura, la terza petulante e in via di rifarsi in più modi nuovi rigogli. Una quarta poi.~ ne troverebbe più fastidiosa di tiltte: la razza dei toscaneggianti affa– ticati a incanalare gli spurghi dell'Arno negli alvei del Sebeto e del– l'Olona per pescarvi all'amo i riboboli. Lavandaia in strascico non fu mai tanto sguaiata nelle movenze, dama di corte intelita nel busto d'una contadina non si mostrò mai tanto infagottata nell' andatura, quanto la prosa di codesti signori, incespicante a ogni passo negli sbren– doli della, veste -fiorentina. La famosa prosa parlata, a quel modo che da parecchi tuttavia s'intende e s'insegna, ,è già leziosa e sciatta ad un tempo quando la scrivono toscani; immaginarsi poi quando s'impanca a toscaneggiare chi venuto di fuori, dopo aver girondolato un mese fra il Duomo e Santa Trinita, e frescheggiato quindici giorni sotto ai ca-- BibliotecaGino Bianco

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