Pègaso - anno I - n. 4 - aprile 1929

472 U. JJ'racchia Celeste gli diceva che il signor Conte avrebbe dovuto saperne pur qualche cosa, egli rispose che suo p'aidre era un distratto, uno sme– morato, che si sarebbe dimenticato il naso nel fazzoletto, la testa sotto i guanciali, e rise egli stesso di questi bellissimi esempi. Ma poi cadde in una specie di tetra pel'Jplessità e incominciò a guardare' Alessandra. - Dìa intanto questa notizia al mio amico Roberto, - diceva il maggiore Iupiter rinfrancato, perdonando per quella volta a Marcello il poco rispetto verso suo padre : - Son certo che gli farà piacere. Io poi passerò domani da lui iper informarlo di tutto. La pioggia insistente e minuta picchiava sui vetri della veranda. - Che tempo ! - esclamò con un SOS[Piro la signora Celeste : - Chi lo avrebbe previsto, con il sole dell'altro giorno? Veramente non ho mai fatto in vita mia una gita più bella. Come ci tornerei volentieri! - Ormai viene l'inverno e il tempo delle gite è passato, - disse secco Marcello. - È molto freddo qui l'inverno? - chiese il maggiore Iupiter. - Dipende dalle annate, - rispose Marcello. - Nevica mai ? - Noi non sapp~amo nemmeno che cosa sia la neve. ~ Peccato ! - disse la signora Celeste : - Con la neve quelle montagne debbono essere splendide. La conversazione si protrasse ancora per qualche minuto fiac– camente, su argomenti di nessuna importanza. Si affacciò all'uscio qualcuno per avvertire la signorina Alessandra· che il nonno chie– deva di lei. Alessandra si alzò e allora anche Marcello si alzò, e disse che con rammarico doveva prendere commiato, per tornarsene a casa. Il maggiore Iupiter protestò che la visita era troppo breve. Vi fu, come spesso accade in simili casi, un momento di incertezza e di confusione. Alessandra si scusò e sali in fretta le scale. Bene– detto la seguì con un pretesto. Il maggiore Iupiter si sentì allora in dovere di dire all'ospite che lo avrebbe volentieri accompagnato per un tratto di strada e salì per infilarsi le soprascarpe e il cappotto. I.a signora Celeste e Marcello rimasero soli. Essa lo pregò di sedere e si mise a piegare con cura, sul ginocchio, un fazzolettino di seta. - E cosi? Ha sentito? Non si parte più, - disse sottovoce senza alzare gli occhi; e attese con un leggiero batticuore che Mar– cello le rispondesse. - Non gliene importa prO[Prio niente? - sog– giunse quando il silenzio di lui incominciò a diventare imbarazzante. - Non giuochi con me, signora Iupiter, - rispose Marcello. - Eccolo ancora con quel suo tono tragico, - disse la signora Celeste: - Avrebbe dunque preferito vedermi partire? - Forse sarebbe stato meglio per tutti, - rispose Marcello. BibliotecaGino Bianco

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