Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

La Stella del Nord 333 Il maggiore Inpiter si ricordò allora, come in un lampo, della lettera per Massimo. Si ipa~pò gli abiti impensierito, e la trovò mezzo gualcita nella tasca destra della sua giacchetta.- Si riaffac-. ciò alla sua mente l'idea di quel viaggio, del suo prossimo distacco dalla moglie e dai figli, di tutte le sue amarezze che egli solo cono– sceva, e, volgendo gli occhi nuovamente a quei monti, vi posò uno sguardo accorato, interrogò le loro impassibili cime. - Che cosa mi dice ! - esclamava intanto il conte Pepi rivolto alla signora Celeste: - C'è chi può far piangere due belli occhi come i suoi? - Eccolo lì, l'uomo nero, - rispose la signora Celeste, imbron– ciandosi come una bambina, e accennò a suo marito. E con qualche schioccar di frusta il cocchiere svegliava i cavalli quando davano segno di volersi appisolare nella lenta salita. Già il loro manto bruno aveva luccicori metallici sotto il sole. Più che al passo non potevano trascinare quel vecchio e pesante landò sulla strada ineguale e ripida, e nello sforzo si macchiavano di schiuma. La strada era, lunga, e pareva n0n dovere mai più finire. Ogni svolta ne lasciava scoperta un'altra più..elevata e lontana, ogni sprone ne mascherava un altro, valli, grembi, forre si succedevano sempre più , dirupate e fonde, e dietro ogni cima ne sorgeva una più alta. Brulle al piede e in vetta, via via che se ne salivano i fianchi, qnelle monta– gne si ammantavano di bei castagneti, di macchie folte che le fronde tingevano di toni verdi e bigi, dal più cupo al più tenero; vaste praterie d'erbe dorate s'alternavanò a selve di lecci e di querce il cui fogliame gareggiava per compattezza con le circostanti rocce; pineti rossicci, siparpagliandosi sui cocuzzi, li ricoprivano d'una rada calugine, e si vedevano conche che l'olivo riempiva come d'un'acqua lacustre increspata dal vento e specchiante un cielo d'alba. Ogni tanto un paesino, con le sue case colorate strette in un mazzo, intorno al quale un jntero bosco faceva da finteria, come dicono i fiorai, cioè da ornamento, si affacciava un attimo di dietro a un greppo, a guardare quelle due carrozze che arrancavano su per la salita, e poi tornava a rimipiattarsi in quale.be piega della mon– tagna. In fondo a un burrone un mulino face,ia gi rare la sua ruota .sotto una cascatella, e non pareva opera della mano dell'uomo, ma piuttosto ùn'anomalia della natura, come un fungo o un cristallo. - Silice, diaspro, serpentina, granito, quale varietà di rocce, - esclamava rapito il maggiore Iupiter. - Che silenzio, che solituçtine, - mormora.va , distratta la si– gl).ora Celeste. _ Si cammina, si sale sempre, - diceva un poco assonnato il .conte Pepi. BibliotecaGino Bianco

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