Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

314 F. M. Martini Già a ribadire in· un certo senso la nostra qualità di nem1c1 erano i medici e gli infermieri stessi, i quali con l'austriaco istin– tivamente smussavano in una deferenza premurosa la ·cordialità quasi casalinga con cui trattavano me e sopratutto s'adoperavano a vincere certe 1prostrazioni del mio spirito connesse con la riso– luzione del male; ma ricordo anche che al primo riaprir gli occhi bastarono a metterci, tutti e due, in uno stato di disagio, le no– stre divise, di cui eravamp stati spogliati all'arrivo e che erano state appese alla parete di fronte ai letti. Si vedevano, alla !J)a– rete, la mia giubba di bomb~rdiere, ancora sporca di terra e· di sangue, e poco più in là la sua casacca di aviatore, tutta in cuoio · lucido e nuovo, con un largo squarcio nel fianco, -e sulla giubba e sulla casacca i berretti; e le due divise sembravano messe lì a tener vivo nel nostro pensier9 l'inferno onde eravamo usciti ed a contrapporne ostinatamente il ricordo a quel senso di umanità · spoglia, originaria, rilassata in un sereno abbandono, che sugge– riva il bianco delle lenzuola sul bia,nço di due letti gemelli. E se - i nostri sguardi si posavano su quelle macchie della parete, ecco sipegnersi subito il gesto o la parola, con cui uno dei due, nel suo segreto e dopo una lunga esitazione, aveva forse divisato di ini– ziare rapporti con il compagno di stanza. Finché una mattina fummo svegliati da una luce, che non era soltanto la luce del giorno, ma il riflesso di uno sconfinato can– dore, nel quale tutto il paesaggio attorno l;!ill'ospedale e l'osipedale stesso erano immer•si, e che dalle commessure della finèstra tra– boccava come una liquida chiarità nella stanza. Vedemmo infatti, appena schiuse le impannate, case, strade, vette, sepolte dalla neve; e fra le vette, là in fondo, anche sotto l'ovatta che lo ammorbidiva, era _riconoscibile l'arcigno pro:fìlo del nostro Freickofel. Parlò lui per il primo, come se da tutto quel candore gli venisse una sorta di fanciullesco abbandono e bisogno di confidenza, che il soldato era riuscito a contenere fino a quel momento; ma fu una sola parola~ una parola italiana, pronunciata esitando, dopo una lunga occhiata spaurita al paesaggio, e pareva che lasciandola ca– dere 'in quella silenziosa ~hiarità egli saggiasse un'eco aspettata: - Neve .... Mormorò là stessa parola in tedesco, fra sé e sé: « Schnee .... >> ma subito tornò a profferirla nella nostra lingua, per non aver l'aria di ritrarre il ponte gettato al suo vicino [Perché questi arri- 1 vasse fino a lui. E ripeté: «Neve .... )) due, tre volte, quasi non avesse altro mezzo oltre codesta iterazione per' significare quel bianco a perdita d'occhio. · Ma ormai il dado era tratto, e, - venisse anche a me da tutto quel bianco un bisogno fanciullesco d'abbandono, o mi venisse dal- BibliotecaGino Bianco

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