Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929
a Matilde Bartolornmei Gioli 301 Se .non che anche questo partito ha i suoi pericoli, se non pre– senti, in un avv~nire più o meno prossimo, quando cioè, il flagello di questa guerra selvaggia abbia termine, e l'Europa prenda il nuovo assetto che durerà forse un secolo. E i pericoli eccoli: il paese dovrebbe averli presenti, ma purtrorppo non li avverte, non li scorge. Usciranno vittoriose dal conflitto le jpotenze centrali? Noi avremo davanti a noi, anzi contro di noi, un'Austria insuperbita dal successo, più insolente e prepotente jperché più forte, più vo– gliosa,_,...di prima di infliggerci umiliazioni, e di punirci con rappre– saglie del non esserci nniti con lei. E ricordiamoci che la guerra pe1· vent'anni minacciataci dall'Im1pero Austro-Ungarico ci fu eYitata e> risparmiata dall'alleanza; rotta l'alleanza che cosa avverrà? E · dovremo sostenere la guerra soli <]Uando,facendola oggi in· cinque, ainteremmo e forse imporremmo la sconfitta al futuro nemico? E se le sorti della guerra volgano favorevoli alle potenze occi– dentali e a;lla Russia? Nessun compenso a chi non ebbe pa,rte nei sacri:fizi: e noi Yedrenio nell'Adriatico insediarsi il rivale slavo più temibile dell'austriaco jperché più aggressivo e più forte: e le grida irredentiste onde abbiamo per cinquant'anni turbato le piazze e le strade, si ricorderebbero come voci di cantori della Capjpella Sistina. Tollererebbe, tollererà il paese queste soluzioni? Non chiederà. conto alla Monarchia del danaro speso con disagio grande della finanza e dell'economia pubblica, per mantenere un esc>rcito e una. marina che, venuta l'occasione di sospirate rivendicazioni, resta– rono nelle caserme e nei porti ? Questi, mia buona e vecchia amica, sono i travagli che affan - nano, che tolgono il sonno, che a momenti annebbiano anche lo spirito a chi l'ebbe da natura sereno; e la vita diventa un affanno continuo. Queste cose dico a Lei, a Cecco : ed Ella le tenga 1per sé. E continui a volérmi il bene che mi vuole da cinquant'anni. Roma, 25 maggio 1915. I miei colleghi ed io abbiamo fatto, con sicura coscienza, quanto era nel giudizio nostro, l'utile del paese: ci sia consentito di yedere l'Italia, cara signora Matilde, quale la vagheggiarono ne' loro so– gni i precursori, e moriremo contenti. Roma, 22 geil!Ilaio 1916. E se 1,1npo' di bene il mio discorso 1 ) ha fatto a Firenze, imma– gini s'io ne sia contento. Io mi sono studiat? di r_icordare ai To · scani la storia loro, che mi parve avessero dimenticato. 1) Ferdinando J\fartini m.iJnistro delle Oolonie. te~me questo_ discovso Per . la Guerra nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecclno 11 20 gennaio 1916. Fu subito :St81Illpato a Roma (Tipografia Unione editrice). BiblÌotecaGino Bianco
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