Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929
Stampe dell'Ottocento : il Teatro Pagliano 281 come quelle delle salacche dentro le botti, e che se parevano rima– nere indifferenti agli sguardi altezzosi e sentimentali che di giù si levavano un istante-alla sfuggita come ad un cielo in temporale, non lo potevano rimanere agli orecchi, perché anche lassù si salutavano, ma con lo stile del popolo che· è simile in tutti i ·tempi, e come si salutavano, ritrovandosi, o si ricercavano non potendosi vedere : - Narciso! Madia! Bocca! Bistecche! Afjredo! O Gino, che ci se' anche te? Ic_chétu vòi? E' son colla mi' moglie! C'è anche la mi' mamma! Sie!... N oe! ... - Non era facile esimersi dal pensare ad una buona massaia cui alle dolcezze ineffabili della melodia, un altro assillo si aggiungeva a pungerle il cuore: il pensiero della ·cucina coi cocci ~asciati da lavare: - Piazzesi! - A quelli calvi della pla– tea. - Maestro icché si fa gli è l'ora? - E negli intermezzi: Lun– ghino! Porfirio! Adocchio! Strisce! Frittura! Che paghi bere? E itn' ho cenato! Vien via si va a bere un diecino ! E' sono stracco! C'è troppe scale! Sie .... Noe .... - Sui profumi muschiati del basso, di estratti di fiori e di confetti di Giacosa e di Doney, a poco a poco invadeva l'immenso alveare, come una nebbiolina, l'odore acuto delle arance sbucciate, ché lassù si mangiavano arance e marron– secchi da quel pubblico attento, che ci andava sul serio al teatro, non per passatempo o a sbadigliare, e voleva spender bene il cin - quantino, intransigente collo spettacolo e cogli spettatori; una ve– latura alla voce d'un cantante produceva un mormorio da incutere terrore nell'artista, e una stecca riduceva il teati:o in una bolgia infernale ; come una nota limpida ed alta, presa bene, o una ro– manza filata con perfetta grazia lo mandava in visibilio, era il delirio dei battimani f' dell'approvazione, con tutte le membra, con quanto si poteva a~provare: - Bene! Bravo! Bis! Bis! - Bisognava bis– sare o interrompere lo spettacolo; fra le due si preferiva sempre il bis che produceva un secondo analogo clamore. E quelli che a fine d'atto e negli intermezzi o nell'attesa si eStpandevano a questo modo, reprimevano poijl respiro durante l'esecuzione, sopportando qualsiasi disagio fisico, né tolleravano rumori intempestivi da qua– lunque 1 parte venissero, fosse pure da dame e gentiluomini, per disgrazia ·o sbadataggine, che apostrofandoli si qualificavano : «trippai!>>- Amor sublime amore! Anche se le cose si presentavano nel miglior modo possibile, mo– stravano quasi subito pericolo di complicazioni gravissime. Era l'~stasi dell'amore osteggiato cui sorrideva ancora la speranza. O sf ben mio coll'essere ìo tuo tu mia consorte. BibliotecaGino Bianco
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