Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

266 0. Vitelli dirlo, ma si dimentica che non aveva fatto diversamente Sofocle, e la tragedia greca era nonostante rimasta quello che era. Qual differenza vi è dunque fra i due poeti? Cercherò di dire anche questo con parole piane, anzi con la meno scientifica delle argomentazioni, con una iiPotesi semplicissima. Se Eul'ipide avesse trattato il medesimo soggetto dell'Aiace sofocleo, avrebbe senza dubbio analizzato psicologicamente il suo eroe, non so se meglio o meno' felicemente di Sofocle; ma, certa:mente, avrebbe anche fatta la critica del mito che nel nome della più saggia delle Dee consacrava un'a,zione di meschinissima e ingiusta vendetta. Sofocle, invece, non discute il mito, lo accetta tal quale, o se anche aggiunge e toglie e modifica, ne rispetta la tendenza e lo sipirito se non la lettera; il suo sentimento religioso e morale è passivo rispetto alle costruzioni mitiche che la tradizione gli offre. Dei ecl eroi, almeno in quanto essi sono il punto di partenza e il punto di arrivo del dramma, non sono uomini come noi, non sono legati alla morale e al razionalismo umano - o, per dir meglio, non accade a Sofocle di considerarli alla, stregua della legge morale e del raziona.Jismo umano : la sua religiosità, la sua reverenza dell'antichità augusta è di tal natnra da non consentire newur l'ombra di discussione e di esitazione. Molti dei suoi contemporanei, e del resto già parec– chi più antichi, discutono liberamente e audacemente la tradizione religiosa; persino l'amico suo Erodoto, il credulo Erodoto, 1·a,zio– nalizza senza scrupolo or l'uno or l'altro mito. I filosofi, anche quelli più antichi, e i cosi detti sofisti della età di Sofocle discu– tono, alterano, negano, razionalizzano Dei ed eroi, mitologia divina ecl eroica. Per Sofocle, almeno in quanto poeta tragico, gli Dei fanno quello che .-ogliono, salvano e pérdono i buoni ed i cattivi a loro piacimento, a loro capriccio;' e gli uomini non hanno il menomo diritto _cl' investigarne il perèhé) tanto meno quello di giudicare alla stregua della credibilità, della ragione, della morale, della giustizia umana. State contenti, o spettatori, al quia) avrebbe detto se questi si fossero permessa qualche obbiezione! Ma essi, in massima parte, per convinzione o per abitudini non erano m con– trasto con queJla forma cli religiosità. Forse persino alcuni dei critici teorici della religione tradizionale, e certamente poi i su– peruomini di allora che, dimenticando la distanztL fra il cielo e la terra, con l'esem1Pio autorevole degli Dei giustificavano i loro vizi umani, a tefLtro applaudivano anche essi il poeta dell'acquie– scenza religiosa, e fischiavano Eur~pide che alle concezioni mitiche irrazionali e immorali si ribellava. Tutti sa,nno che in una car– l'iera drammatica di più di sessanta anni Sofocle fn sempre il beniamino del pubblico, anche quando, in ispecie dal principio della gnerra del Peloponneso in IPOi,la religiosità proverbiale degli Ate- BibliotecaGino Bianco

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