Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

264 G. Vitelli puramente ed ingenuamente, e pregiudizialmente, un qualche arti– colo clericale o anticlericale di regolamenti e di leggi! Non importa, io dicevo, indagare la proporzione del vero al falso in quello specioso ragionamento. Non importa, perché tutto in complesso il ragionamento non è applicabile alla poesia di Euri– ipide. Egli sarebbe il primo a dolersi se della economia, della tessi– tura poetica, dello stile, del pathos delle sue tragedie noi volessimo discorrere prescindendo dalla condizione, dirò cosi, dialettica del suo sipirito rispetto ai problemi religiosi, etici e sociali. La tragedia greca ..... Ma non intendo far qui una dissertazione sulle origini e lo svolgimento della tragedia greca, magari prima di Eschilo, una storia della tragedia prima della tragedia, come facetamente ebbe a <lire nna volta Enrico Weil: una dissertazione sopra un argo– mento dove tanto più abbondano le ipotesi avventurose, quanto più scarsi e insignificanti documenti ne abbiamo. Di una cosa non posso fa1·e a meno : mettere in guardia i lettori contro la vecchia can - tilena del fato che domina assoluto nella tragedia autentica dei Greci. Questo assoluto dominio c'è, senza dubbio, nell'unica trilogia di Eschilo che ci è giunta, nell'Orester.t; c'era, a quanto sembra, nel Prometeo; c'era, se vi fa piacere crederlo, in tutto il teatro di Eschilo : ma già il suo immediato e grande successore, Sofocle, concepisce e presenta il dramma tragico diversamente, su diversa base, sulla psicologia dei suoi eroi. Non sono 1padrone del lin - guaggio tecnico dei filosofi e degli esteti, e chiedo perdono se tratto di tali argomenti con parole troppo volgari : mi si può perdonare anche perché cosi è più agevole riconoscere la debolezza dei miei pensamenti e dei miei giudizi. Le parole e i paroloni tecnici spesso, trop1po spesso, agevolano invece il nascondere qualche debolezza, qualche incertezza, qualche avventatezza. Prendiamo una tragedia di Sofocle. E sia l'Aiace; di cui abbiamo ·or ora ricordata la trama. Il poeta riceve dalla tradizione e dal mito la situazione culminante: Aiace si uccide perché l'attribu– zione delle armi di Achille ad Ulisse, e non a lui, gli ha sconvolto la ragione, gli ha fatto commettere pazzie indegne di un eroe. I compagni di Aiace, i suoi soldati, i suoi marinai tremano per lui : egli, cosi severo, cosi duro, non li hl:J, risparmiati nell'ora del pe– ricolo, ma tutti lo amano come un padre, come un fratello : la, voce diffusasi della sua pazzia, li abbatte, li annienta per immenso dolore. La sua donna, figlia di un re cui l'indomito valore di Aiace aveva tolto il regno la famiglia la vita, ha dimenticato nell'amore e nella adorazione di lui lo strazio suo e dei suoi, - di lui, che non l'accarezza davvero con tenere [Parole, che in– finite volte le chiude la bocca con l'aspro proverbio: « donna, ornamento alle donne è il silenzio», che una volta sola in tntta BibliotecaGino Bianco

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