Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

Eitripide 261 mento si crederà legato, non rivelerà nulla al ipadre minacciato di . ' mmacce terribili non pronunzierà 1~ parola che dalla maledizione paterna lo salverebbe, morrà la [>iù miserevole delle morti per non manci~re al giuramento, a quel tal giuramento! E il comico maligno vorrà dare ad intendere che Euripide insegni nelle sue tragedie - la restrizione mentale ! Euripide è poi il poeta irreligioso per eccellenza : i [)Oeti comici, e Aristofane in prima fila, esplicitamente affermeranno che le sue tragedie insegnano a disprezzare gli Dei.•E qui le cose si compli– cano un buon po'. Se non vogliamo essere ingiusti, occorre distin– guere e suddistinguere; Euripide non fa professione di ateismo. Che una sentenza ateistica occorra in bocca dell'uno o dell'altro dei suoi personaggi, non vuol dire che sia ateo il poeta. Può darsi che ad Euripide abbia fatto comodo rappresentare Bellerofonte più ateo che non fosse nel mito tradizionale. Ma se gliene facessimo - carico, risponderebbe come [)er l'Issione : <da mia tragedia mostra_ come il suo orgoglio è punito.)) Invece è fuori di dubbio che la concezione euripidea della divinità mal si concilia con la reli– gione, diciamo così, 1popolare della sua città e del suo tempo, e con la tradiz;ione mitologica. Non so chi sia il personaggio Euripideo che pronunzia alcuni versi famosi, ma, incontestabilmente, l'ultimo di quei versi rispecchia anche chiaro e netto il pensiero del poeta: e< se gli Dei fanno cose turpi, non sono Dei !)) « Non credo )), dice nna volta Ifigenia,, « che nel banchetto offerto da Tantalo agli Dei una Dea abbia mangiate le carni di Pelope : perché nessuno degli Dei io credo che sia cattivo.)) Così dice Ifigenia, e lo aveva detto anche Pindaro, il poeta, religioso per antonomasia : evidentemente, lo pensava anche Enri!pide. Il torto di questo poeta si ridurrebbe, dunque, a non credere a tutte le sconcezze- e le ridicolaggini 9-ella mitologia e della religione popolare. Ma è anche vero che egli non si contenta di purificare gli, Dei. Nella concezione antropomorfica della divinità, l'antropomorfismo per se stesso ripugna allo spirito filosofico di Euripide. Libe– rarli dai vizi umani è un primo e necessario postulato : ma farne soltanto uomini, e magari SUiperuomini virtuosi, generosi, valo– rosi ecc. non basta neppure. Ed Euripide non riesce ad una con– ce~ione che lo soddisfi, in cui il suo sipirito si adagi e si riposi. Egli non sa bene, - come ipare che altri sia riuscito a ben sapere, - egli non sa bene che cosa propriamente sia la divinità e si affanna a rintracciarla nell'etere sublime, nella terra, nella necessità natu– rale in tutto ciò che è fonte di vita. « !) veicolo della terra, )) dice Ecuba nelle Troiane) « o tu che reggi la terra e nella terra hai sede, chiunque tu sia, imipersc:rutabile, o Zeus; che tu sia la ne– cessità della natura o la mente degli uomini, te io prego : tu per Bibn'oteca Gino Bianco

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