Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929
Eitripide 259 Euripide ·sa far parlare i suoi personaggi in sentenze stilistica– n1ente perfette: perciò anche nei frammenti che delle opere di lui abbiamo, abbondano le sentenze, ed è troppo natura,le che i rac– coglitori e i compilatori di antologie abbiano preferite le più piccanti. In terzo luogo, perché Euripide realmente ha fatto qual– che cosa che non avevan fatto né Eschilo né Sofocle_ Ma se fra le ragfonj non si può non comprendere quest'ultima, tanto vale rinunziare alle altre due, che possono spiegare soltanto qualche esagerazione dei moderni, non il giudizio degli antichi che tutta l'opera conoscevano così di Euri[Pide come dei suoi grandi prede- - cessori. Comunque sia, io temo che troppo spesso e antichi e moderni abbiano giudicato secondo preconcetti teorici di estetica o di mo– rale, o di morale insieme e di estetica. Nelle Rane di Aristofane, Eschilo dice ad Euripide: cc rispon– dimi un po' : uri poeta per che cosa è stimato?>> cc Per l'assenna– tezza e l'accortezza che possiede,» risponde Euripide, cc poiché così rendiamo migliori gli uomini nello Stato.» Non crediate che que– sta concezione della poesia vada attribuita a! poeta comico per– il bisogno del suo dramma. È concezione largamente diffusa nella Grecia del tempo classico. Anche mezzo secolo più tardi, un uomo che non rappresenta proiprio l'ideale della moralità politica e pri– vata, Eschine l'oratore, dirà solennemente: cc io credo che per questo apprendiamo fanciulli le sentenze dei poeti, per servircene adulti. » E un altro oratore contemporaneo, Licurgo, in tema di moralità e di patriottismo ricorre, come ad argomenti di somma efficacia, alle citazioni, lunghe citazioni di antichi poeti, fra i quali, naturalmente, anche Euripide. Io credo, dunque, che la rii-.posta di Euripide nella commedia aristofanea non sia nientP affatto diversa da quella che Euripide avrebbe data innanzi ad un vero e proiprio areopago di giudici criminali o di critici d'arte. Indubbiamente egli riteneva di compiere non meno bene di Eschilo e di Sofocle il suo ufficio di poet~ moralista. Nulla sarebbe più falso dell'attribuirgli la più lontana intenzione di contribuire con fa sua tragedia al dissolvimento di quella legge morale a cui era informata l'opera dei grandi poeti che in Atene e fuori lo avevano preceduto: ricorderò Pindaro ed Eschilo, e valgono per molti. Giusto è invece confrontarlo con Socrate, non che s'incontrino le' loro dottrine moralÌ, ma perché tutti e due sono agitatori di idee riformatrici nell'interesse della morale pubblica e privata: e il confronto è tanto più giusto, perché anche a Socrate accadde di esser fatto responsabile della confusione morale del suo tempo, anche Socrate fu presentato sulla scena comica, dallo stesso Ari– stofane come prototipo di proipagandista corruttore. E come, se per So~rate non avessero parlato i suoi discepoli (e quali disce- I B~bliotecaGino Bianeo
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