Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929
382 G. Pasquali « Chiesi notizie sulla nuova poesia italiana: si parlò del D' Annun~ zio, del quale io avevo letto qualche cosa, anche le Vergini delle Rocce; ma i miei amici scossero il capo: di queste cose non si occupavano. Non insistei; ma per mia istruzione lessi spesso il Marzocco.>> Il Marzocco nel '98 appariva a uno straniero un foglio d'avanguardia, e a ragione. << 11 Milani mi mostrò la sua opera, il Museo Etrusco; la creatura è così grandiosa che in grazia sua si perdona alle spiegazioni fantastiche del creatore. » Poiché era, inondata la ferrovia a Civitavecchia, il Wilamowitz en– trò in Roma alla maniera vecchia, con un vetturino. Roma era al– lora capitale sino a un certo segno, città grande poco o punto; forse poco diversa dalla Roma dei miei primi anni. «La.vita della città, era molto lenta; 'ci vuol pazienza' era massima alla quale il frettoloso 'l'edesco del Nord doveva per forza abituarsi. ,Se s'impazientiva nel– l'attesa di un vetturino o di un cameriere, facilmente gli toccava sen– tirsi dire un mo' viene, nel quale c'era una punta di dispetto. I giorni di mercato i contadini si affollavano a Piazza Montanara e a Campo di Fiori. Prima di Natale arrivavano dai monti di Sabina i pifferari. I modelli nei loro costumi ormai vecchi ma sempre attraenti, si offrivano sulla scalinata della Trinità dei Monti. L'accattonaggio durava indi– sturbato. La città era sicura .... Ma erano in giro storielle di grassazioni vere forse negli anni precedenti, allora certo non più vere. In casa Hehzen [Henzen era il primo segretario, cioè il direttore dell'Istituto Archeologico Germanico] la zia Rosina mi avvertì di non andare solo fuori di porta; una mia passeggiata all'Acqua Acetosa, in compagnia, la spaventò. » - I timori erano ingiusti verso il '95 come nel '73; ma certi Romani del mio tempo erano ancora cittadini induriti, che della campagna avevano una specie di terrore, come di solitudini popolate di mostri. Meno interesse ha per noi la società dei Tedeschi di Roma, com'era in quel tempo ; sebbene venga da ridere quando si legge di una festa di .Natale nell'Istituto Archeologico, nella quale il Wilamowitz, lungo ma secco, apparve nei panni della colossale signora Helbig, e si presentò, per la moglie francese dello scavatore di 'rroia, Schliemann, e annegò padrone di casa e astanti in un diluvio di complimenti francesi ! Ma « madama» Helbig, come la chiamavano ancora al mio tempo i vet– turini, o•« la principessa >i, merita una parola. Questa figlia di principi russi, eduèata all'estero, si era innamorata di un grande archeologo te– desco, di origini rispettabili ma borghesi, anzi sassoni, che per un Tedesco è il non plus ultra della bor·ghesia, Helbig. « La, nostra principessa aveva la étessa vitalità, della madre, che essa anzi superava nell'altezza più che maschile e nella pienezza delle– forme. La facilità russa di parlare correntemente cinque lingue, le at– titudini musicali, la capacità di osservare le forme sociali quando era necessario, ma di passarci sopra di solito, erano grandi pregi; ma soprattutto ·splendeva dai suoi fanciulleschi lineamenti una singolare purézza, un calore di bontà. Anche chi borghesemente scoteva il capo a certe sue stranezze, poco poteva dire, perché qualunque cosa essa si BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy