Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

380 G. Pasquali il fio-liolo filologo giovane di attitudini mirabili, per quanto diverse o ' 1· da quelle del padre, al tracollo che tenne dietro alla guerra, ag 1 anni del disordine e della fame il Wilamowitz accenna appena. Un uomo, formatosi così, era preparato a intender l'Italia. E un interesse quasi personale suscita in noi Italiani la narrazione del primo soggiorno (dall'agosto '72 al febbraio '73). « In Verona girai largo dalla biblioteca capitolare, benèhé avessi una raecomandazione del Mommsen'; ma nel museo lapidario di Scipione Maffei mi sentii ventare in faccia ur... alito greco; io trascrissi colà la prima lapide; e cosi nel palazzo municipale di Padova alcuni epigrammi. >>Il futuro direttore delle I nscriptiones graecae legge nella terraferma veneziana la sua prima epigrafe, in una collezione che è traccia del dominio della Serenissima sull'Egeo. Egli scrive altrove: << Venezia accenna all'Oriente, e molte sculture del Museo provengono dall'Arcipelago. >>Qui egli continua:· « Quest'attività filologica e in genere ogni filologia eran per me cosa secondaria. Il primo compito era di conoscere il paese, il popolo, le città, sebbene l'italiano che avevo imparato leggendo, non mi bastasse a intendere la comune conversazione, e .figurarsi poi i dialetti. >> Questo passare in seconda linea delle biblioteche, della· specialità, distingue a suo onore il Wilamowitz dalla comune dei filologi della sua nazione: io ne ho conosciuto ancora uno (giovane, a dir vero, non era più) che, mentre nei pressi di Mandela andava in cerca della villa di Orazio, esortato da compagni più vispi a guardare il tramonto, rispose: « Io non posso fare che una cosa sola alla volta: o la villa di Orazio o il tramonto; il tramonto verrò a, vederlo un'altra volta. n E> anche le ultime parole erano dette sul serio. Cosi il Wilamowitz ha sentito il grande Usener durante una marcia per la campagna sino a Tivoli non parlar d'altro che di lessici medievali. Venezia, « senz'alberi, come marchiata di decadenza>>. non gli piac– que: « essa non si è conquistata il mio-- aniore, certo perché la sua storia mi è rimasta ignota>>; e questa sarà davvero la ragione. « Quanto alla pittura ho compreso intensamente il gran periodo dal Quattrocento tardo sino a Tiziano. >>Ma· egli confessa, senz'amba,gi, « la limita- tezza della sua intelligenza>> in fatto di pittura. . Da Venezia passa a Firenze, che diviene la città del suo cuore. « La città mi è divenuta così cara che ogni volta che ci sono tor~ nato, mi è parso come di essere in patria, per quanto da allora molto sfa mutato e per quanto mi piacesse meglio il silenzio di allora, del quale invece i Fiorentini si dolevano, ché in quel tempo appunto si era dileguato il breve sogno della capitale. Ma qualcos'altro mi importava più: a Firenze il senso dell'unità della vita storica si impone per amore o per forza a chiunque pon mente agli edifici e ai loro orna– menti, alla grande arte e alle sue derivazioni nella vita di ogni casa cittadina, e insieme legge la storia della città in Dino Compagni e nel Machiavelli, non dimentica Dante e il Boccaccio e sa apprezzare le p·oesie del Poliziano e di Lorenzo il Magnifico. Il dìlologo aggiungerà di suo il ricercatore di manoscritti Niccolò Niccoli e il Poggio. È un'unica corrente di vita, che comincia con il contrasto tra la Faesulae etrusca BibliotecaGino Bianco

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