Pègaso - anno I - n. 3 - marzo 1929

G. LEOPARDI, · Operette ~forali 363 nello Zibaldone annotava le sue sottilissime osservazioni linguistiche, e parole e espressioni pellegrine, e interpretava Petrarca, e ordinava le (Jrestomazie), e poi da stampa a stampa, con un dono. di l;,em.plicità che è un miracolo in un lavoro che ebbe profonde radici in studi lunghissimi e letture, non avrebbe forse insistito su un confronto, che è per lo meno improprio, fra le varie edizioni. e correzioni di queste Operette, e le due, due sole,. dei Promessi Sposi. Il Moroncini sa con quanta maturità di idee sulla lingua, e sullo stile il Leopardi si pose a comporre ì suoi dialoghi e le sue fantasie; sa anche che al Manzoni il problema •·- - si' propose apertamente, sebbene in forma oscura a,yvertita innauzi, soltanto dopo l'edizione del '27, · e durò e s'applicò all'arte per tredici anni, e criticamente continuò ad affaticarlo fino alla tarda vecchiezza. , -Un-confronto, se m::i,i,di tal genere, avrebbe il suo valore se si esami– nasse, tra la varia materia dello Zibaldone, quella che servì a comporre le Operette, incerta anche dove pareva più tranquillamente scritta e di– segnata; e credo che, anche indipendentemente da tal proposito, non si possa discorrere con chiarezza intorno allo stile della prosa leopardiana, senz'aver prima studiato, oltre alle varie correzioni dell'autografo e delle stampe, i- pensieri appunto dello Zibaldone, almeno dove i rap– porti sono più frequenti e legati: e non dico quanto alla sostanza, che questo è di sempre, ma quanto alla forma. Un'analisi minuta applicata anche solo ai Detti memorabili di Filippo Ottonier·i, e alle sue fonti, basterebbe a fondaì·ci sopra un ragionamento compiuto. Gli studiosi del Leopardi sanno che i Detti dell'Ottonieri son tutti ricavati dallo Zibaldone. Eppure, guardate, anche dove la scrittura dei Pensieri par/ più limpida e ferma, il mutamento che sempre port<à.solo trasçrivendo e. magari adattando al particolar tòno di quella data prosa, e di quelhl data pagina. << Il tale diceva che noi, venendo in questa vita, siamo come chi si corica in un letto durò e incomodo, e però si rivolge cento volte da ogni parte, e procura in vari modi di appianare, ammollire ecc. il letto, cercando pur sempre e sperando di avervi a riposare e prender sonno,· finché, senz'aver dormito né riposato, vien l'ora di alzarsi. >> È nello Zibaldone, e porta la data del 25 giugno 1824. I Detti me– morabili furono scritti lo stesso anno, tra il 29 agosto e il 26 settembre; e il capitolo secondo, dove questo pensiero fu ripreso e rifatto, ha la data del 3 settembre. « Diceva altresì che ognuno di noi, da che viene al mondo, è come uno che si corica in un letto duro e disagiato : dove subito posto, sentendosi stare incomodamente, comincia a rivolgersi sul– l'uno e sull'altro fianco, e mutar luogo e giaci– tura a ogni, poco; e dura così tutta la notte, BibliotecaGinoBianco

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