Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
Amore di poesia 185 fa il solfeggio. Dopo la scuola, la poesia in versi ha perduto tutte quelle occasioni sociali che la facevano pubblica e comune. Per dirne nna, ci si prov i a far re citare dei versi ai 11,ostr(attori, che discen– dono o magari porta.no il nome di quelli ai quali fu indirizzata la mirabile prosodia d ell'Aristodemo! La tecnica del verso s'impara e- l'orecchio si (Perfeziona colla consuetudine 1 pubblica, colle gare e cogli esercizi di r,ecitazione ad alta voce e non colla solitaria lettura silenzi-Osa. Ma, dopo che hamno dato Met~stasio o il Monti vorremmo . ' noi, anche potendo, anche se non fosser finite, andare alle scuole · della retorica ? La lettura interiore ci ha p{ire insegnato un modo e un godimento della poesia pura, che ci tiene e ci diletta profon– daimente, e che è degno e ragionato. E poi, a che? Vorremmo studiar di fare della poesia di bravura, dorpo il punto a cui l'ha condotta D'Annunzio o Victor Hugo? Ma veramente questi interrogativi sono per la dimostrazione, e sono retorici. Ognuno in queste cose deve fare quel che deve; o' se no, è meglio che non faccia nulla. Voglio dire solo che noi siamo, di fronte al contenuto e alla tradizione di dovizia musicale che i nostri poeti hanno espresso da Ulllacombinazione di undici e di sette sillabe, nella condizione di quei monaci che adattavano parole,· can– tando e battoodo il tempo col dito, su formole di musica rituale; o di quei primi lirici greci che misuravano i versi su motivi ricevuti dal flauto o dalla cetra, come fa il popolo suHa chitarra. Dicono infatti che questa sia una delle mamiere colle quali sa– rebbe nato il verso, a forza d'esemplarsi ,sulla musica, e ce ne sono esempi in liturgia e nella canzone popolare. Sarà vera questa ma– niera, come saran vere, credo, anche le altre. Via da ogni conce– zione accademica o rivoluzionaria, programmatica, della poesia, per chi dei versi abbia un disegno interiore, astratto addirittura, e più nella mente che nell'orecchio, il compor versi per· costui di– venta un mettere a prova, delicata e forzata, su quel rigido e astratto quantitativo di sillabe un periodo di parole, un ritmo in timo suo, che non è nato col verso, che sul ver-so si disciplina, sì mortifica, dirò, nel retto senso ascetico della (Parola. È così : a un certo punto la poesia nasce, germina, non in verso, ma in prmm. Ciò può esser segno di primitivi o di decadenti, ma non sono [)ress'a poco la stessa cosa ? Per tornare ancora una volta agli esempi classici, Dante, ano stesso mod~ che pensava per sillogismi perfetti e formali, poetava in èhiuse terzine; senza rima non aveva immagine; ma AriosU. stesso si !PUÒ figurarci che non pensasse, che non vivesse in ottave? 'l'anto vero che da giovine, e per molti anni, ne andò scrivendo di durissime ; rozze : ottave però. Col Ta,s,;;oquesto cielo ritmico varfa e si screzia. Leopardi finalmente metteva in prosa, e la poesia c'era BibliotecaGi.noBianco
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