Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

A more di poesia .1,8.3 • stere e di non aver ragione d'esistere, in quanto il verso è, inrlipen• dentemente dalla poesia .e dalla più intima essenza del ritmo stesso, misura fissata e prestabilita. 11 Redi nel suo Ditimmbo poteva cavar fuori i modi o,Ìi an- d . ' o amenti e le soriprese metriche che occorrevano al suo estro col ,. contraddire e contrariare saporosamente le abitudini e o-li ago-rUj))· . \ o o pament1 delle strofe italiane più stabili, in niodo che sotto gli anda- menti del suo capriccio questi e quelle sussistono e si riconoscono. Ma nelle lasse, com1Poste di versi sillabici regolari uno per uno, delle Laudi) non si trova e non si riconosce nient'aJtro che il ritmo d'annunziano, quello che è suo di IIlatura, il ritmo della sua prosa insomma. Tant'è vero che non so quando sia riuscito così a pieno al Pizzetti di scoprire e d'ornare colla musica il ritmo del suo autore, come nei Pastori) poesia in prosa. Finalmente si consideri che in fatto di invoozioni metriche ,i modernì, le «barbare>> 'ai Carducci non eccettuate, non ne hanno fatta una che resti, che esista per sé stessa e che altri erediti e per– fezioni·: prova storica del mio asserto sufficiente. Mi si dirà che il ritmo deve seguire per sua legge i moti e le pro· porzioni dell'animo. Se non si voglia altra legge, per questo c'è la prosa poetica, come si ,scorge benissimo detto nella prefazione ai Petits poèmes en prose; ché anzi all'anima, e proprio all'anima moderna, seducente espressione, questi poemetti paiono rivendicare 1() strumento della prosa « ondeggiante l); vaga, avrebbe detto Leo– pardi. In conclusione, se versi han da essere, dopo che le abbiamo spe• rimentate tutte, han da essere versi e strofe tradizionali. Non varrà poi la pena di buttarsi all'endecasillabo sciolto, allo sbaraglio, s'in• tende! Già Petrarca, ed era Petrarca, e aveva davanti a sé il libero e intatto dominio della IPOesia d'affetto, quando lo richiesero- se cono– ~cesse il libro di Dante, mostrò il De Monarchia) dicendo esser la Commedia il libro dello Spirito Santo. Questo aneddoto, o fa– vola che sia, può dire e simboleggiare,...molte cose : singolarmente, che Dante aveva dato il sacco al !Patrimonio delle rime italiane. Un poeta ÌIIlfatti quanto più grande è, scopre rime e versi nel corpo della lingua vivente, ma le scopre per lui, e le èonsuma nell'appropriar• ia:ele,e le nega e rifiuta agli altri. Soprà tutti Dante. Chi, se non il Tasso non sempre, ha potuto seguir l'Alighieri nel ,suo terribile ri· mare, in quel suo prepotentissimo suggellare di terzine ? A parte ogmi ragione di concetto e di stile, le più originali e forti rime di Dante sono e restano solo sue. E insomma il Monti, con tutta la sua bravura grandissima d'imitatore, proprio dove meglio gli rie– sce di ormeggiare Dante fa ridere, se si pensa al :fiorentino. lioteca Gino Bianco

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