Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

172 E. Piermarini tamento di rime, parole cambiate, perfino due ottave felicemente ag– giunte; insomma mostrano la fatica e il fervore della composizione e della lima sapiente insieme; sono perciò più attraenti e interessanti e commoventi che se presentassero pagine nitide, senza pentimenti, quasi una stampa. Il primo foglio ha cinque ottave per pagina, ma sette nella p. 3 : in tutto 22. Il secondo, o carta 3, ha cinque ottave nella p. 1 (c. 3 r.), ha due colonne di scrittura con dieci ottave nella p. 2 (c. 3 v.) ~ cioè 15, l'ultima mancante dei due ultimi versi. Tutte le ottave, come soleva l'Ariosto, sono scritte in continuazione, senza intervallo tra l'una e l'altra. I versi sogliono cominciar,e con la maiuscola, ma alcuni principiano con la minuscola; come si rilevano nomi propri con la mi– nuscola, e maiuscole dove non vanno bene. La punteggiatura è quasi affatto mancante: qualche raro punto doppio, che vale per virgola, per punto e virgola, per punto ; qualch~ rarissima virgola; un punto inter– rogativo che pare esclamativo; e due volte, a proposito, le parentesi curve, e dirò dove. Insomma abbiamo la conferma di quanto scrive San– torre De benedetti nella sua egregia edizione critica del F,urioso, data in luce questo 1928 dal Laterza, alle pp. 442-43 del III volume: « Gli autografi s'aprono con una serie di 10 ottave nelle quali invano tu cer– cheresti il più piccolo puntolino. Poi qualche rara virgola, qualche punto doppio (che fa lo stesso), e l'interrogativo dove occorre. Tutta– via nelle belle copie mette un po' più di cura, segnando persino l'apo– strofo; ma ricade ad ogni passo nelle solite distrazioni. » Come ho detto, io ho constatato in queste tre carte anche l'uso delle parentesi 1 ). L' apostrofo l'ho incontrato, ma quasi sempre, senza che il poeta stacchi le parole: d'oro, d'ttna; oppure, ed è la regola, lo tralascia in tutto: lelmetto, lha, lun, chunaltro. Le tre carte di Napoli non sono certo buone copie; la terza carta meno che mai : le due del foglio intero, forse, furono i'.mtentativo di bella copia che, durante il lavoro, come accade spesso, ridiventò brutta copia nel nuovo getto e nella limatura generosa della poesia. Per la lingua, cito di nuovo il Debenedetti, alla, p. 404 del detto volume terzo : « Insomma l'Ariosto lavora libero da ogni legge che non sia quella del proprio gusto. Iniziatosi al comporre romanzesco sul poema del Boiardo, così folto di lombardismi, e così vivo e fresco in quella lingua che era pur anche la sua,__messer Ludovico, - pure inten– dendo tutta la vita a un ideale di eloquio· che tiene della classicità dei Latini, e dei sommi del Trecento, e delle più fini grazie del Quattrocento poetico, - delle sue prime e care orig~ni non riesce e quasi diremmo non vuole mai. dimanticarsi e sciogliersi a pieno : sì che accenti e voci' lom– barde suonano ancora nella più larga e matura classicità dell'ultimo~ 1 ) Tra parentesi curve è senza dubbio, nella c. 1 v. degli autografi ambrosiani, il v. 3 dell'ottava 9 del canto IX: (quando né pesr,e egli non è, né angelJo) ; , nel qua.l verso, per distra7,ione,H secondo né manca. E tra parentesi curve è pari– menti nella tav. ·J di Ferrara (carta ·1 r.); e non vi mllillca il secondo né. BibliotecaGino Bianco

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