Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

160 M. Valgirnigli - Poesia letta e poesia ascoltata occhio diverso. Noi non diciamo più, come disse Aristotele, che il poeta, se ha da esser mimèta e cioè poeta, deve parlare in persona propria il meno possibile; tutto il contrario diciamo : diciamo che il poeta deve parlare in persona propria il più possibile sempre. Qualunque poeta; e precisamente come quel poeta lirico che Ari– stotele, !Perché non mimèta, escludeva dal novero dei poeti. Perché nemmeno il poeta lirico parla in persona del suo io contin&ente ed effimero ; bensì trae da cod.esto io un io perenne che con la voce del- 1'uomo parla, non di un uomo, e ha pertanto su tutti gli uomini e in tutte le ,età risonanze molteplici e moltiplicate. In questo senso noi diciamo che anche il dramma e anche l'eipica sono intuizioni liriche; e che anche il poeta drammatico e il poeta epico parlamw in persona propria come il poeta lirico. Ecco perché a noi non importa più, oggi, come importava agli antichi, il mito per sé medesimo; perché noi qualche cos'altro cerchiamo e vogliamo che è interno al mito e di cui il mito è soltanto la sensibile e visibile veste. Qui è lai diversità fondamentale fra gli antichi e noi; e la in– telligenza e valutazione diverse, nostre e loro, della P"esia. Per noi poesia, qualunque poesia, la lirica come la drammatica e l'epica, è sempre esipressione di sentimenti, •anche se racconto e rappresentazione di miti. Né più ci !Premono né ci deviano preoc– cupazioni moralistiche o pedagogiche, che erano il punto di par– tenza e il sostegno di ogni critica del contenuto o del mito; né più ci lusinga e ci tiene l'amore della forma, della forma ,tipo, di quella fisica o metafisica della forma che era il punto di partenza e il so– stegno di ogni critica stilistica e retorica. Mito e mimèsi, e gesto– e voce, e spettacolo e forma, non sono più erssenziali per noi, cia– scuno in se stesso, alla poesia : dove tutti gli elementi, qnesti e altri, si fondono l'un l'altro, compiutamente aderendo, in espre~– sione totale, alla fantasia del poeta. C'è qualche cosa di assai 1Più i111timo in questa nostra esigenza, e in questo sforzo onde cerchiamo. di avvicinare gli antichi a noi e noi agli antichi, superando ogni e8teriorità caduca; è c'è insieme qualche cosa come di velato e di pudico in questo desiderio, anche se vano talora per fragilità nostra,– di ridestare nell'eterno che è in noi, guardando su pagine mute,_ parole di risonanza umana, senza tempo e senza storia. Anche per questo, dei molti doni, non pregevoli tutti, che la civiltà ci ha donato,-uno amiamo sopra tutti, il libro; che ci è com– pagno sempre e dovunque, e ìn ogni ora e luogo della nostra si-– lenziosa e umbratile vita. MANARA V ALGIMIGLI. BibJiotecaGino Bianco

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