Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
G. ANGELINr, Testimonianze cattoliche 255 • migliori) al Fattori, a,l Ghiglia, al Romanelli, al Giuliotti. Siamo cioè, come dicono adesso, con Papini strapaesano. E non per niente ci si può rico1·dare che tra i moventi del suo «ritorno» egli non .trascurò questo: d'esser nato nella sola città del mondo che un bel giorno si prese Gesù Cristo per Re. Altro tòno nel piccolo ,e bel libro pubblicato in questi giorni da Cesare Angelini. Anche l' Angelini crede che i poeti ci siano mandati da « quel Dio medesimo che manda i ,Santi, a, ornamento del mondo e a nostra perpetua consolazione. ii Anzi ci crede tanto che, tempo addietro, non gli mancaron fieri rabbuffi da parte di qualche duro custode dell'orto– dossia, il quale accusava l' .Angelini d'idolatria per l'arte: d'una tale idolatria che davanti al miracolo lirico lo lasciava piombare in una sorta d'agnosticismo morale, gli faceva dimenticar la questione prima e cioè se il poeta avesse cantato il Bene o il male, lo buttava in ginoc– chio e basta, dimentico dei diritti di Dio. Parole grosse :ma, anche e soprattutto per un cattolico, giuste solo in apparenza. Perché tutto in Cesare Angelini, €tal suo vocal)olario alle snodature della sua prosa, ha sempre spirato il candore e l'inno– cenza. E a ogni mhdo il rimprovero non potrà davvero esser ripetuto in quest'occasione:' ché da anni e anni non c'era capitato di leggere, in Italia, critica letteraria fatta al lume d'una sensibilità così mite– mente cristiana, come la troviamo in queste pagine. Persino la vec– chia accusa di golosità, cl' indugio in particolari melati, di maniera, in certi momenti un poco troppo dolce e viziata, a questo libro non si può più muovere. Qui l' Angelini sembra essersi liberato fin dagli nltimi residui di quel suo « peccato ii; è- divenuto, nel suo fare, così puro e schietto, che gli aristarchi più scontrosi dovranno andare in cerca, contro di lui, d'altri capi d'accusa; se ne troveranno. Quanto a noi, confessiamo che l'unico imbarazzo nostro ·nel dire di 'questo libro ~utto il bene che ne pensiamo, è nel fatto che in esso si dice troppo bene di qualcuno che conosciamo troppo da· vièino per accoglier senza beneficio d'inventario le grandi lodi dell'Autore. A parte questo, sta difatto che l' Angelini ha saputo adunar qui, accanto a indagini molto fini e acute su certi spiragli più o merro « religiosi ii . di alcuni grandi ma_ poco cattolici scrittori nostri dell'otto e del novecento, altre indagini su scrittori cristiani, grandi e piccoli e qualcuno minimo, degli stessi secoli. E 1e cose più belle da lui dette son forse quelle sul Tommasèo : autore la cui ·figura, dopo tanto che se n'è scritto, è sempre rimasta, per i più, avvolta in un'atmosfera piuttosto ambigua: mentre l' Angelini sa districare i veli che tuttora, la imbrogliano con quella sua mano leggera, e gettarvi sopra luci d'una discrezione amorosa, che ci fanno scoprire soavi segreti nell'anima e nell'arte del vecchione di Zara. Sul poeta di Renzo e Lucia, l' A. aveva già pubblicato uno dei volumetti più fini che siano mai stati composti da un manzoniano, Il dono del Manzoni: qui si torna con predilezione su alcuni motivi ibliotecaGino Bianco
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