Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

TOMMA.SÈo, Colloquii col Manzoni 2-15 una malignità: osservo che anche di fronte a quest'altro biografo per. altri motivi, sentiamo troppo la distanza fra l'autore e il suo p~rso– naggio. L'atmosfera mora.le in mezzo a cui il Tommasèo lo dipinge, non è precisamente quella in mezzo alla quale viveva il Manzoni. . 'l'uttavia l'acuto e austero dalmata aveva, più degli altri nominati d1 sopra, le qualità necessarie per capirlo spesso e per dipingerlo ed esaltarl? degnamente. Quello che egli ci dice,della finezza di gusto del Manzom, del modo come penetrava i classici, dell'accento con cui l!lg– geva Virgilio e dello sguardo e del gesto con cui lo accompagnava, quello che egli racconta della; sua dignità morale, -- e il- modo, come egli lo racconta (pp. 183-85), - e certi aneddoti dove c'è tutto il Manzoni, raccolti con quella precisione e con quell'intelligenza del Tommasèo, sono, quanto di meglio ci abbiano tramandato i contemporanei per ' conservarci, direi, il profumo di quella mente e di quella scienza. In quelle pagine vien fuori l'altro Tommasèo, il moralista pensoso ed artista, l'uomo che per le sue doti di psicologo e di scrittore era più adattQ a fermare qualche linea della figura manzoniana. Mi basta citare un tratto, perché il lettore sè lo legga e ammiri insieme il Manzoni e il Tommasèo: « Ad esempio di passi belli di Virgilio tanto prossimi all'italiano che un contadino con leggera attenzione ne indo– vinerebbe il senso, così come intende a un dipresso il Vangelo spiega– togli dall'altare, io citavo .,,. tuque o sanctissima coniunx Fe1ix morte tua [leque in hunc servata dolorem. Ma profferite appena le tre prime parole, io lo sentii, con gli occhi e il viso levati e la mano alzata e poi ricadente sul ginocchio, seguitare con accento tra d'ammirazione e di rammarico; e mi pentii dell'avergli disavvedutamente richiamata dinanzi l'imagine della in– comparabile sua prima moglie perduta, di quella Enrichetta il cui nome vive immortale nella dedica dell'Adelchi, e lo spirito negl'inni e ne' cori e nelle prose ispirategli principalmente da lei. » Pa,ssi come questo, e certe sentenze ( « non è buona cosa per fin di bene far male ; ma per nn di male fa.r bene è ancora peggio »), e l'aneddoto del contegno del Manzoni durante la visita d' una spia (p. 170), ed altri o gravi o arguti, ritraggono veramente la figura mo– rale del grande uomo con la dignità interiore e con la finezza che sono necessarie per- conservare, anehe alla vita di Alessandro, l'aura di mite superiorità e di umoristica delicatezza da cui siamo avvezzi a vederlo circondato leggendo il suo romanzo. Per questo rispetto i Colloquii del 'l'ommasèo sono preziosi: ed un nuovo biografo non_potrà trovare nulla di così opportuno a lumeggiar l'indole dell'uomo come alcuni tratti di questo libro. Anche sulla cultura e sul modo del Manzoni di giudicar persone ·e fatti, si può imparare qualche cosa. Le relazioni col Monti si cono: Rcono ora con maggior precisione; quel- che Alessandro pensasse di alcuni contemporanei, per esempio del Niccolini,, del Giusti, si sa ora con particolari nuovi· la scarna lista de' suoi giudizi sopra i nostri l I bliotecaGino Bianco ·

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