Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

242 La Venexiana e non hanno bisogno di ciò. Lo <lico per norma di quei pochi innamo– rati di studi letterari che spesso si fanno delle illusioni e parlan di « rina,scita » a, ogni pie' sospinto, e per vergogna degli snobs che pre– notan dal libraio i « Lafuma >> e i « Giappone>> di Francia. Duecento– cinquanta copie: vedremo a fine d'anno se in lta,Iia, ci saranno stati almeno cento studiosi, cento curiosi e cinquanta amatori capaci di tirar fuori di tasca venticinque lire. Per conto mio, sono pronto a Rcommettere di no. Vedo nerissimo, in questo campo. La Venexiana, quanto al titolo, è un aggettivo di commedia sostan– tivato, come chi dicesse La oomrnedia ·veneziana; e quanto al contenuto è una di quelle audaci commedie che si recitavano in .Venezia, sul prin– cipio del Cinquecento, ad onta dei divieti del Consiglio dei Dieci, dalle Compagnie della Calza, e che andaronò quasi tutte perdute. Due gen– tildonne veneziane prendono una cotta fuori ordinanza per un giovi– netto forastiero, sbarbato e coi capelli « trezzolài », stupido, vanesio, abbastanza squattrinato, andato a Venezia « per adoperar sua gioventù e pigliar piacere>>: e brucian d'averlo. L'una è vedova e l'altra è moglie di Messer Grando che non appare. Due servette e un gondoliere berga– masco aiutau la vi,cenda tirando di qua e di là, per la manica il• bel gingin. L'imbarazzo è della scelta. Altre difficoltà non ci sono. Tutto rn liscio, tranne elle la novizza si morde le dita quando la vedova fa il piacer proprio, e viceversa. Ogni tanto si sentono suonar le campane, e nella casa dove la novizza e la fante hanno atteso invano, nell'in– gr,esso, con la porta socchiusa, l'ultima vuol andare a dormire e l'altra la prega di aspettare un altro po', << ancora un giozzin J> (Ancora un goccetto. Un triplice glossarietto, della lingua cortigiana e delle voci dialettali veneziane e hergamasehe, spiana, in fin di volume, le poch~ (1itlicoltà della lettura). In quella la campana suona le quattro. Dice la fante : « Aldè : quante ore! >> In casa della vedova, ad ascoltar le campane sono l'altra fante e il gondoliere che deve riportar via il fo– rastiero e non sente ragione, vuol bussare all'uscio e far discendere dal loro paradiso gl'innamorati. Quello che gli innamorati si dicono è me– glio leggerlo direttamente nel libro. Ci sono delle battute che lì dentro stanno benissimo e fuor di lì farebbero arrossire un viso di piombo, perché in quell'atmosfiera eccessivamente affettuosa paion le più natu-_ rali del mondo, e fuor -di lì sembrerebbero enormi. La novizza vuole fortemente vuole, ma si domina. Invece la povera vedova è addirittura imbecillita e spappolata d'amore. Si confida perfino col gondoliere: cc El xe tropo belo per mi.. .. ))' e non, lascia dormir in pa<!e la fante, andandola a trovare fin nella camera da letto per sfogarfi!'ia parlar di lui, del suo << musin d'oro>> ecc. E cosi stando a sedere sul letto della Nena, per avere almeno l'illusione di tener nelle braccia il suo bel forastiero, abbraccia cogli occhi chiusi la ragazza e la scongiura: « Cara, dolce, stà cussi un poco; e po' comenza a_biastemar, azzò che ti creda omo.>> La povera Nena non sa da che parte rifarsi: « NÒ sciò che dir, mi». E la padrona: « Biastema el Corpo de Cristo; menzona le parole sporche, co fa i òmeni. n Molta_grazia, molta leggerezza, e la stessa mischianza di lingua e BibliotecaGino Bianco

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