Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929

228 Ugo Ojetti - Lettera al Maestro Arturo Tosoanini nuto aU'arte quando la voce umana non era più che uno dei tanti stru– menti dell'orchestra, sempre, anche nella musica sinfonica,, hai avuto, da schietto italiano,, la nostalgia della voce, e solo allora la tua or– chestra ti sembra perfetta quando sommessa o sonora torna ad asso– migliare nelle dolcezze dei passaggi, nei sospiri, nei gemiti, negl'impeti, nei voli alla voce viva; alla voce d'una persona più possente d'ognuno di noi, fatta con quello che in noi non è afflitto dal peso e dallo spazio ma è solo tempo, cioè memoria o speranza,. Insomma l'uomo resta in te, come in tutti i classici, il metro dell'arte tua. Ed. ecco, dopo dieci minuti la nostra febbre cedere a una lieve ebrietà dalla quale ci de– stiamo in pace; la malinconia uscire da noi, diventare la malinconia d'un altro, e tornarci purificata e quasi desider_ata; la gioia più vasta adattarsi delicata alla nostra misura ed esperienza ed età, vestita di saggezza. E poiché della musica più commossa questo è il primo vanto, che Jn essa non trova posto il caso ma tutto ,è legge certa e ragione avvertita, noi ci ritroviamo ad aver ripreso possesso di noi stessi e a sorridere della nostra stanchezza, confusione, amore, odio, timore, ira, cupidigia, come di maschere da selvaggi indegne della nostra armonia e serenità. Poi s'esce nella notte, e il torbido fiume torna a ingoiarci. ,Sbaglio? Quest'uso della musica come ·medicina delle passioni è, se mai, per me un errore inguaribile; e so che lo è per moltissimi altri. E poiché, se errore è, ha da generare altri errori, t'ho pur da confessare un desiderio di noi che veniamo all'opera o al concerto non per impa– rare, non per giudicare, ma solo per trovarvi un poco di felicità. E il desiderio è che nei teatri italiani sia restituita àlla sala durante lo spettacolo quella affabile penombra che il tetro uso delle germaniche tenebre ha abolita dopo secoli di civiltà illuminata. Il rispetto, si obietta, anzi la religione dello spettacolo. E che? Non s'avrebbe da essere religiosi che al buio ? Questa della religione è una parola che taluni spiritualissimi filosofi hanno messo di moda nelle faccende più disparate e più laiche. Io che preferisco, appunto per la conta– minazione religiosa che vi si ostenta, udire più che vedere l'ultimo atto del Parsifal, vorrei che in teatro la religione e la chiesa fossero lasciate da parte. E del resto né la· religione italiana né le chiese ita– liane hanno mai avuto timore della luce; e quando il poeta accmiava Gesù d'escludere il ~ole dai suoi templi, s'immaginava un Gesù gotico, « in una cliiesa gotica», non un Gesù italian~ in una chiesa romana. Ordine, silenzio, esattezza, rispetto : ,tutto bene, ma noi siamo capaci d'avere queste qualità anche nella mitigata luce d'una sala, visto che siamo capaci di a,verle nella placida· luce d'una chiesa. Soltanto allora, fuor dalle soffocanti tenebre, teatro lirico e con– certo d'orchestra torneranno ad essere quello che da noi sono sempre stati : una parte della nostra vita socievole e la miglior parte della nostra chiara giornata, quella cioè in cui, sia pure per poco, ritroviamo noi stessi, anzi il meglio di noi stessi, salvo a tornare a perderci un'ora dopo nel peggio; e questo ritrovarci e questo riperderci ci piace che avvenga a faccia scoperta, in compagnia. UGO 0JE'.rl'I. BibliotecaGino Bianco

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