Pègaso - anno I - n. 2 - febbraio 1929
Lettera al Maestro Arturo Toscanini Forse quest'idea della tua solitudine pur dentro un teatro colmo e nell'ordinato tumulto d'un'orchestra, mi viene anche dal ricordo di (love vent'anni fa ti parlai la prima volta, che era un villaggio sotto il monte Rosa, sospeso in un'aria tanto limpida e leggera elle il belato <l'un agnello in fondo alla valle l'udivamo come se la greggia fosse davanti alla nostra porta e avessimo già nelle nari l'odore olioso dei velli. Sul pianoforte in un bicchiere erano tre fiori -di genziana, d'un azzurro che abbagliava, da colorare tutt'un lago, da tingere tutt'un cielo con quei tre fiori soli elle stavano affacciati all'orlo del bicchiere sul pianoforte nero. E accanto alle genziane i Canti di Gastelvecchio. Li ~apevi tutti a memoria, o mi parve che li sapessi tutti, ché a sug– ?erirc un emistichio tu filavi un verso dopo l'altro cercando, come fai m grande nella tua orchestra, non l'accento delle sillabe nel verso ma l'armonia del verso nella strofa: Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace; i bicchieri avvinò .... Allora i tuoi capelli erano quasi tutti neri e il volto a,nc6ra pieno non aveva il taglio triangolare e l'incisa nettezza di medaglia e il pallore d'argento che la vita e la fatica, il capire cioè e godere e patire per te e per gli altri, t'hanno dati e che saranno i tuoi tratti nei secoli. Gli ascoltatori d'una musica d'opera o di concerto mi sembra che sieno di due specie : qu~li il cui animo è tutfo occupato dalla musica, senza che vi sia più un angolo per le immagini, le memorie e i sogni; e quelli pei quali anche la musica è un linguaggio, e i suoni sono come parole e gridi purificati; e su quelle aeree strade la fantasia viaggia e clH. forme labili ma definite all'edificio sonoro, t:ld evoca ricordi e rim– pianti e speranze, ma non come fa la poesia la quale talvolta ti pone la lucida parola davanfi come uno specchio che ti raddoppia la pas– sione. I primi sono gl'intenditori, utili certo, ma quasi disumanati dalla loro stessa scienza che sa d'aritmetica quanto di musica, e che ha ridotto tanta musica d'oggi, appena uscit;i, dalle nebbie dell'impressio– nismo, a un ballo, diresti, di scheletri nel quale senti sotto le vesti ru– tilanti il crocchiar delle ossa e certi strappi e arresti in tronco come d'una giuntura a un tratto inchiavardata. Gli altri siamo noi spetta– tori; e il nome ci si addice anche se si tratta cli musica da concerto per soli orecchi, perché-lo spettacolo ce lo facciamo noi stessi da dentro, al primo accordo dei violini. Ma per questo abbiamo bisogno di te. Quando infatti dirigi tu, s'entra sicuri, ci si siede in poltrona con la fiducia con cui ci s'appoggia al davanzale per contemplare un'au– rora o un cielo stellato o il salir della luna tra le nubi, ché Iddio non t'inganna. Se ardiamo d'ambizione o d'amore o di speranza, se una gioia repentina ci inebria e ancora non sappiamo vederne i limiti e l'ombre, se il dolore o solo la stanchezza ci fa cupi ed ottusi, se la furia e la calca oggi della vita ci stordisce e qua-si ci ostruisce il cer– vello c'è la musica, ma sopra tutto la musica diretta da te,. regolata, domi~ata, modulata, umanizzata da te .. Anzi direi che tu, sebbene ve- BibliotecaG no Bianco
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