Pègaso - anno I - n. 1 - gennaio 1929

• Su questa letteratura 41 storie, la parte dell'eloquenza, come già notava malignamente, pur , ammirando, il Mommsen 1 ). C'è poi un altro genere che tra noi fiorisce bene, appunto perchè sta tra7a lirica personale e la storia: voglio dire l'autobiografia. Alcuni dei libri più vivi e leggibili della nostra letteratura son « vite scritte da esso>>- raIIl.tlliootoalla rinfusa il Petrarca, il Cel– lini, il Cardano, Carl~ Gozzi, il Casanova, l'Alfieri, il Pellico, H D'Azeglio, il Settembrini, il Duprè, l'Abba, il MartiITT.i.E molti frammenti autobiografici si possolll ritrovare in tutti gli altri, da Dante al Carducci. Arrivando alla polemica sento aria natia e sarà miglior partito nolll insistere. Si potrebbe ricominciar la lista coll'eterno Dante e il vicilll suo piccolo, l' Angiolieri. Ma certi scritti dell'Aretino, l' Apo– logia del Caro, il Sa,ggiatore del Galileo, i Ragguagli del Boccalini, la Frusta del Baretti, la Proposta del Monti, le Poesie del Giusti che altro son mai se non polemica e di quella saporita ? E solll po– lemiche, se non sbaglio, certe poesie del Leopardi (ad esempio la Palinodia) e certe sue prose, alcuni scritti minori del Manzoni e quasi tutte le Confessioni e Battaglie e Ceneri e Faville del Car– ducci - ta1I1toper fermarsi ai nomi grossi soltanto. Nè importa ricordar le satire, che s(mo, infine, polemiche sulle generali. E in q11esto campo la rinomanza nostra è tale che il Nietzsche, bovina– mente esagerando a uso tedesco, scrisse una volta che « gl'italiani ii,Ono,schietti e origilllali unicamoote nella satira sanguinosa. A , cominciare da Buratti che influì in modo decisivo sul genio di Byron)). In questi cinque domini, dunque, gli scrittori italiani son felici e potenti e ci sarebbe, credo, da contootarsene. Ma nei tempi mo-• derni l'influenza d'altre letterature, la richiesta del pubblico ma– lavvezzo, la moda e soprattutto il desiderio di più rapidi guada– gni, hanno precipitato molti al romanzo e al teatro, non fatti per noi. E i resultati di questa iillllaturale coltivazione si veftono. Cominciamo dal teatro. Sappiamo tutti che le nostre tragedie o sono imitaz,ioni di quelle classiche, come nel Cinque è Seicento, o di quelle francesi, come nel Settecento - nOIIlescluse le alfieriane. Le tragedie degli ottocentisti - Monti, Foscolo, Manzoni, Pellico, Niccolini e mettiamoci pure il Cossa - famose a' loro tempi oggi non le legge e non le recita più 1I1essuno.Tra i drammi del Benelli i migliori son quelli a fondo autobiografico e lirico, e nelle trage– die del D'Annunzio le parti salvabili ,son quelle poetiche e oratorie. Quanto alla commedia, fuor della Mandragola e del Candelaio (che rientrano nella satira) e di quelle tre o quattro ciambelle col 1) Storia Romana, libro I, cap. XV. BibliotecaGino Bianco ,

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