!:, NOTA SULLA TRADUZIONE DELLE GEORGICHE U incontro con Virgilio, soprattutto con quello mansuetus delle Georgiche, pot.rebbe rivelare oggi u.n desiderio di • lasciare » il tempo o di forZ&lo in u.n al di là caro alla consuetudine della poesia. Ma Virgilio, con la sua continua invenzione della natura, interroga se stesso, non rivolge domande agli altri, non pone occasioni al canto. Nella sua voce possiamo riconoscerci antichi per quel « senti.mento della solitudine•, che è il riflesso della pena dell'uomo, ciel dolore in senso assoluto. E non vogliamo ricordare soltanto l'Orfeo del LV Libro, che entra ·nella memoria del poeta dopo il dorato viaggio nel regno delle Api, ma la stessa nascita ciel verso virgiliano mentre cede l'alessandrinismo dei neoteroi, la necessità della sua parola quale somma di quella degli uomini del suo tempo. La rassegnazione alla solitudine, opposta al dolore lucreziano, avvicina a noi Virgilio più degli ,altri poeti latini cleJl',antichità classica. Anche Catullo, .fra i quattro o cinque poeti del periodo augusteo, è lontano dai toni alt.i; sfiora appena l'ordine dell'anima greca e ozierà compiaciuto sulla vaghezza di Callimaco :per poi continuare un suo diario elegiaco fitto nell'eco della commedia plautiana. Una giustificazfone al mio lavoro vuole essere di natura poetica, la sola che autorizzi la lettura dj un testo sempre presente nei secoli di una raggfonta civiltà europea. E qui sarà oppottuno un chiarimento sul problema delle traduzioni (in particolare dal latino e dal greco), risolto, se mai, teoricamente, nei limiti di una ricerca di equiva• lenza espressiva coincidente con la quantità metrica. L'approssimazione delle forme del discorso latino ci riporta, è vero, ai moti iniziali della nostra lingua; e per questo molti studiosi, e non solo remoti, affermarono essere la lingua del trecento italiano. la più adatta alla traduzione dei classici. Ma nel1' enunciare questa constatazione di natura lin1,,uistica, non si è tenuto conto dei poeti, che sono i soli a dettare legge nella creazione di un linguaggio, nella formazione delle civiltà letterarie. Dobbiamo, dunque, a suggerllnenti teorici le versioni arcaicizzanti che si coltivano ancora oggi, aiutate da un gusto aulico, residuo di un anonimo umanesimo. Il linguaggio della Commeclia e dei Rerum vulgariu.m è più attuale (immobilità della poe· sia) del • sistema • di strutture neolatine di un traduttore del nostro tempo che tenti nella . versione di un antico testo lo specchiarsi della sintaSsi originaria. In quanto alla metrica ( e qui non interessa discutere la presenza della rima, risultato puramente fonico, ripetibile in altra lingua solo in funzione « visiva »), l'unione di due o tre versi di· 1nisura italiana è stata da me diver• samcnte disposta, traducendo le Georgiche, non tant.o per « l'esecuzione» (nel senso mu• sicalc). dell'esametro virgiliano, quanto per la resa della cadenza abituale della voce del poeta. Qualche volta ho sostituito la rottura dell'accento ribnico con una pausa, altra volta con una cesura. I versi « d'azione » sono tradotti con un recitativo ,oppeoa sillabato. FondazioneRuffRfft 0P1 :~'Hf0'M00 r [/)alliBioptimo · delle [Jeoi(Jiche {u.u. 293 ~ 3117) C'è chi veglia d'inverno al lume tardo della lucerna, e aguzza le fiaccole col ferro tagliente, mentre la sposa, confortando la lunga fatica col canto, percorre le tele sul pettine sonoro, e addensa al fuoco il ~olce umore del· mosto, e schiuma con le fronde dal paiolo che mormora. Ma mieti nel meriggio la rosseggiante Cerere, e nel meriggio batti sull' aia le biade mature. Nudo ara: e nudo semina il contadino: ozia d'inverno. L'inverno invita al piacere, libera dai pensieri. . Allora i contadini godono il frutto d'estate, e lieti trascorrono il tempo nei conviti-: come i naviganti che incoronano le poppe delle navi che finalmente tornano cariche nel porto. Ma quando alta è la neve i fiumi spin2ono il 2hiaccio, è tempo di cogliere le 2hiande delle que:i:ce, e le bacche d'alloro, e l'uliva e i mirti di sangue; di tendere lacci alle gru e reti ai cervi, d'inseguire le lepri dalle lunghe orecchie, e di colpire i daini colla fionda balearica. Che dirò delle stelle e del tempo d'autunno, e dei lavori che l'uomo deve vi2i.lare quando più breve è il 2iorno e più mite è il sole, o piovosa declina primavera, e già nei campi le messi drizzano le spighe, e il frumento 2onfia di latte lo stelo ancor verde 7 Quando il mietitore entra nei campi dorati e falcia l'orzo maturo, io vidi spesso i venti scontrarsi, e strappare le spighe dalle radici e lanciarle nell'aria: cosl la tempesta trascina nel turbine nero stoppie e steli le22eri. ,Spesso a schiere senza fine scendono acque dal cielo, e le nubi raccolte dal mare addensano tempeste di cupe pio22ie: il cielo precipita, e alla2a i seminati e le fal;iche dei buoi; i fossi si riempiono e i fiumi salgono con strepito, e il mare ribolle ne2li stretti agitati. Giove nel buio dei nembi sca2lia i fulmini con la destra splendente. E trema la terra, le fiere fug2ono; e lo spavento abbatte il cuore de2li uomini. E colpisce col dardo di fuoco ora l'Ato, ora il Rodope o gli alti Cera urli; gli Austri e la pio22ia aumentano: · ora i boschi, ora i lidi 2emono per l' impeto del vento. 5e temi i moti dell'aria, osserva i mesi e segni celesti: dove vol2e il lento pianeta di Saturno, in quali cerchi il fuoco di Cillene vaghi per il cielo. Ma onora prima 2li Dei e celebra 02ni anno i riti alla 2rande Cerere, e sacrifica sull'erbe in fiore, quando finito· l'inverno già primavera è serena. sono pin2l,li 2li a2nelli, i vini dolcissimi; 2rato è il sonno, e le ombre incupisco:oo sui monti. La 2ioventù dei campi adori te, Cerere : e sciol2a il miele nel latte e nel vino. E la vittima 2radita giri tre volte intorno alle nuove messi, e il coro e i compagni la se2uano festanti: e s· invochi Cerere ad alta voce che entri nelle case. Tradu•io11e di SALI' ATORE Q!JA.SIMODO _,J 9
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