Pattuglia - anno II - n. 1 - novembre 1942

(che già conosce\•amo per interpretazioni &cipitissime) e delta •nuova• Laura Redi. Goffredo Alessandrini riporta sullo schermo ( ce n'era bisogno?) il film a serie con e Noi vivi». t diviso in due parti, « Noi vivi • e « Addio Kira », e occupa oltre quattro ore di proiezione. Prolisso e fiacco quasi sempre, questo film non -riesce altro che un inverosimile ingn::-buL?Iiatissimo intrigo di cle~ meu~i dispura~·i: il più delle volte non necessari ed m ~ deteriori. Non basterebbe neppure riòurlv a metraggio normale - come a!- cuni scher.tosamente hanno proposto (proposta che io, scusatemi, prendo sul serio) - per cavarcene quaJcosa di omogeneo e di comprensibile. Penso, alla ,•ista di « Noi vivi • - non so se con rammarico o con nostalgia - che Alessandrini ha pur diretto « CavaUeria ». Di C,.amillo Mastrocinquc que 4 st'anno abbiamo avuto un'altra riduzione da commedie del nostro ottocento con « Le vie del cuore», desunto dulia famosa - ai suoi tempi - «Cause ed effetti • di Paolo 1-~errnri. Se il primo esperimento poteva dirsi per un certo verso riuscito (per Ja sua esatta ricostruzione ambientale), questo non lo è affatto, e proprio per la mancata caratterizzazione di un ambiente preciso, sul quale potesse svol• gcrsi una coerente narrazione. Qui siamo nel vago e nell'amorlo, salvo che per alcuni istanti jsolnti. Uno sguardo ora ai documentari. Su diciolto presenta.Li dall'Italia, cinque sono - lo si può dire senza esitare - ottimi: cComacchio» di Fernando Cerchio, «Venezio minore» di hanccsco Pasinetti, «Pronto chi parla» di Mario Oumicelli, «Le cinque terre» di Giovanni Paolucci, «Treno O. 34• di Vittorio Carpignano. ln lutti è presente una attenta ricerca ligurat.iva condotta sulla base di un suo esemplare dei mezzi «puri» della espressione cinematografica, mezzi troppe vo1te fraintesi, abusati o addirittura ignorati. li documentario italiano è una conquista incessante di essi, una assimilazione sempre più valida e ricca di effetti positivi. Di questo si sostanzia J' intensità emotiva del e-Comacchio» di Cerchio, l'effusione sottilmente llricn della «Venezia minore» di Pasinetti, Ja grazia finissimo che sprigiona aa «Pronto chi parlo» di Dami~ ceHi, di questo si sostanziano gl~ intrìnsechi valori degli altri documentari. Di questi cinque se~ono le onne e sono ispirati agli stessi principi un numero perlomeno pari di altre operej ~.sa che costituisce uno innega~ bile grande affermazione deJ documentario italiano. razione specifica. NuUa quindi :: M~~t 1 aiI~1;;~~:ra~recu~:; empiricamente la nitidezza del fotogramma. In bianco e nero il film poteva Corse riuscire una buona opera cinematografica, chè non vi manca una certa abilità di svolgimento narrativo, una dosatura accurata di eUctti. forse questo sarebbe rimasto, onche in bianco e nero, compiaciuta smaliziaturn intellettuale, sebbene vi siano momenti che certo la trascendono (la fuga di Anna da Praga, il suo p:1s!o.ggi('I sul ponte, il cui tema è valorizzato dalla musica, per il resto comune, di H. O. Borgmann). Intl'rpretc coercntissima del personaggio di Anna è la Soderbaum; gli altri, e in modo speciale Eugen KlOpfer, Paul Klinger e Annie Rosar, attesi.ano una maturità raggiunta. Pure di Veit Harlan è 'il film «Der grosse Kònig» (Il grande re), opera di complesso, su sfondo storico. Un film che sa alquanto di scolastico nella precisa e monotona - si può ben dire - elencazione di fatti che la storia ha fissato immutabilmente, e che qui vengono assunti nel loro piatto valore documentario, senza alcun tentativo di innalzarli a livello di commozione. Qualche buon taglio di inquad.ralura (nello sequenza notturna det re prima della battaglia), una folograria attento., esteriormente precisa (operatore lo stesso Mondi de «La città dorata»), qualche spunto musicale azzeccato. V interpretazione è stranamente eccitata, voIutrunente e artatamenl.c naturalistica. Con • I-Viener Blut• torna una vecchia conoscenza, \Villy Forst viennesissimo. Ma è un forst in minore. Lo schema e la convenzionalita del mondo dell'operetta sono troppo evidenti e chiusi in sè (in un loro Iormalismo che può ancora - e soltanto - diverti.re) perchè si possa considerare questo ultimo Ulm di forst sul piano di altre sue opere, anche se non di quelle migliori. Uomfoi di stl\to a convegno (allegro inebriante convegno, quclJo di Vienna 1814), donne belle, avvento.re che non possono essere che amorose, scherzi, piccole e grandi smanie cli gente eccitata i su tutto, dominante, il malioso vaJzer della Vienna di sempre. Ma la forza che ctuesto mondo vivHichi Forst non la trova che raramente, e non gli basta avere a sua disposizione attori di Mpcrienza consumata (quali Maria Holst, Willy Fritsch, Theo Lingen, Hans Moser, Oorit Kreislcr) e un operatore prestigioso come Jan StaU ich. E molto non gli serve la musica di Johnnn Strauss. Per gli a.Itri tre film tedeschi non occorre spender troppe parole. c.Der grosse schatten• (La grande ombra) svolge un dramma a tinte psicologistiche in un n:mbiente di teatro. e diretto da L'opera più interessante pre- Pau, VcrhOven (specializzatosi sentata quest'anno dalla Cenna- nella commedia cinemotograFica) nia è il Jilm a colori «Die gol- con un piglio stranamente imprede~e stadt» (La città dorata) di ciso e svogliato, e 8 null'altro V~tt Harlan. Da esso si può egli so badare che ad effotti teamisurare esattamente a che pun- trali, non molto bene condiu"ato to sia arrivato il sistema di ri- _ a dire il vero _ da un I-leinpresa Agtncolor, e quali p08si- rich Gcorge manierato, dalla Ditbilità esso offra di funzionale mar, daJ Quadllieg 1 e da una impiego cinematografico. Fino a 1-Jatheyer assai !uori tono. Heinquesto momento non ha fatto rich Georgc è pure il protagog~andi progressi: si può quasi nista di. « Andreas Schliiter », dir~ che è come nato, suppergiù film ,ninuziosamente biograrico, è runasto, e conserva, pochissi- sul grande scultore tedesco; la mo attenuate, quelle manche\'O- regia pletoricamente borioso è lezze che gli si riscontraroJlo al di llcrbert Moisch, un uomo che suo apparire. Lo patina di Fondo ha tuttavia all'attivo un notevolu azzurro-verd<- non è scomparso film, «O III 88 •. e denuncio, 1>roprio con la sua « Die çrosse I.iel:e » (Il gran• persistenza Fastidiosa, quanto e- dc amore) ci riporta una Za.rah steticamente frastorni <1uesto Lcande1· in,,ecchiata, ma imcor tropito palese ele1"Rento «mate- eUicace attrice; più duro e se- •1riale • e meccanico e quanto ~s- gnnto è ora il suo viso, pjù so ta-rpi le ali, dalle basi, al melanconicamente triste. Il tilm reulizza.tore. Ed in questo easo è assai mediocre, spesso addi11 reohzzatore, lo Ilarlau., ha rittura sciatto; porta la firma di dimostrato dal conto suo una in- un allievo cli Cal'l FrOlich, RoH sen:5ibilità coloristica che è in- Hansen, che ha già diretto due Fòn'cJa°zid~è'"Fttlffl11f ;r•J±ts'rnima di questo (e non parr ~l-.P. ciò gli abbia servito a molto). Tra i documentari tedeschi ve ne sono due da segnalare, per la C-Orrettezza del loro linguaggi.o visivo: «Holzzieher • (Boscaioli) di Ulricb Kayser e «Erde auf Gawaltmiirschen » (Terra rimossa) di Victor Borel, nel quale ultimo si trovan reminiscenze ruttmaniane. I Film ~nrhm:1 Oall' Ungherh, ci è giunto uno dei film più sii:;nificativi della ;\lostra del 1942: c.Emberek a Jrnvason» (Uomini della montagna). l. stala una rivelazione, più che una sorpresa. Il suo regista, SzOLs Istvan, è un gio- \'ane al suo primo film, cosa che se ci lascia stupiti, ci fa pur meditare. Molti nostri cineasti dai. sicuro mestiere dovrebbe far meditare, soprattutto. Indubitabile fatto è che quj sia sLalo raggiunto un clima di spontaneità, di sentita «verità:. poetica, che ben poche altre volte [u dato vedere. Il dramma intenso e doloroso di questi montanari transilvani, quel mistico senso religioso che è al tondo dei loro animi, il valore che vorrei chiamare il mito cli una natura osservata e ricreata con purezza ed austerità istintiva, fanno di e Uomini della montagna> una delle migliori opere filmiche degli ultimi anni. E la sequenza culminante del film, il viaggio in treno della morta, riesce brano cinematogralico di cosi stupenda evidenza da per• metterci sicuramente di porla accanto a c1mmte sequenze famose noi conosciamo. Se qualcosa v'è da imputare al regista è una certa insicurezza nell'uso dei mezzi tecnici (che, si noti però, è frequente meuo di quel che a prima vista scmbri) 1 e colpa eccessiva non gli si pub per questo fare considerando che egli non ha alle sue spalle alcuna diretta ed impegnativa attività di regio. Qui lo Sz6ts dispose di collaboratori eccellenti, a cominciare angli attori di una fresca e polente forza espressiva (specie Alice Szellay e il GOrbe), fino all'operatore J~erenc Fekete, che ha acutamente <.,-ompreso il sen• so profondo dei film, esteriorandoio in una Fotografia che più « propria » non rteva essere, all'autore di que tema musica.le che molte volte ritorna con la sua uniforme ma vibrata linearità, allo stesso scenografo che aveva un compito necessariamente secondario. Si comprende chiaramente dal risultato raggiunto come salda e proficua sia stata la loro collaborazione. l due altri film presentati dall'Ungheria sono molto lontani da « Uomini della montagna '". Uno di essi. «Sz.iriusz•, è uoa ingenua e artificiosa opera, infarcita cli cartapesta e di fantasia onnacquatissima, tratta eia un romanzo d.i Fcrenc [-lerczeg e diretta da un certo A. Hamza i l'altro è un film di propaganda p.ntibolscevica, i cui intend.iment; il titolo stesso, «Negyedi::iglen» (Espiazione), rende palesi. Non molto eUicace è la forza propagandistica che da esso emana, essendo basata su elementi trop1>0 esteriori e su azioni troppo superficialmente condotte dal re• gistn Zoltan Farkas; i valori cinematografici sono quasi inesistenti. G,HItri ~10:i Delle quattro eccezioni alla generale mediocrità artistica della Mostra (di cui all'inizio ho parlato) l'ultima ci è giunto dalla Donmmru,. Questa ha presentato un solo [ilm, ma esso è più che suffieicntc per farle riservare an posto di primo piano tra le nozioni partecipanti. Con «Afsporet• (Lo sperdu· ta) si presenta jl regista Lauritzcnj in questo film egli ha EMBEREK A HAVASON di SZOTS ISTVAN LA BELLA ADDORMENTATA di LUIGI CHIARINÌ OENS QUI PASSENT di MAX RHAUFLE 15

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