Pattuglia - anno I - n. 11-12 - set.-ott. 1942

I CITTDAE' LCLOASTA I I N tutti i porti del mondo vi è della gente che passa la sua giornata in dolce oziare lungo le banchlllc. Il mare è uno spettacolo eterno e un eterno richiamo, cui dillicilmcnte si sottrae soprattutto chi ha speso gran part~ della sua vita a navigare. Per questo, almeno nei nostri paesi, il pubblico dei porti è costituito in maggioranza di vecchi e il loro oziare lungo Je rive appare come· un giusto e nostalgico riposo. Non così a Spalato, dove la pic~la folla,. che siede per lunghe ore sui gradini che dalla banchina conducono all'acqua o suJJa colonna d'ormeggio o sulle panchine verniciate di rosso che attorniano Je palme è latta di uomini di tutte Je età e. forse in prevalenza di giovanì. Gente' dall' dspetto trasognato, che pare assorta io pensieri, e non ha Pattitudine di chi si riposi, ma piuttosto quella di chi compia il suo unico e fondamentale lavoro. In genere ciascuno è per suo conto, solitario; ma anche quando tanno gruppi di due o tre persone, non parlano che di rado e a basso. voce. E non è un'impressione che si limiti al porto. Anche nei caffè, frequenti ~ spaziosi, con divani riposanti e grandi vetrate, secondo il costume delJc città austriache, i clienti sono ugualmente assorti e taciturni: se si mettono assieme t: soltanto per giocare lunghe e pa:Gient1 partite di scacchi o di dama, oppure qualche gioco di carte che non richieda troppo impegno cli parole. In altri termini pare che una dolce neghittosità governi le giornate cli questo paese, dove anche i negozi e gli uUici non aprivano al pomeriggio prima delle quattro, qualcuno persino alle cinque, e nessuno mostra di intendere per quale ragione è possibile che altri abbia fretto. L'antico dominio turco si sconta. Per quanto lontano ha lasciato nel sangue di queste popolazioni segni cosi profondi, che neppure j) lungo governo austriaco è stato capace di cancel1are. Tanto è dilCicile sradicare dal cuore dell'uomo la grnta abitudine alla pigrizia. E qui si cUrebbe che ci mettRno veramente tutto l'impegno nell'essere pigri. Del resto le acque che fiottano contro le pietre dei moli cli Spalato sono fomose per il loro tepore: qui l'Adriatico comincia già ad avere il sapore dei mari del levante. Tuttavia è molto probabile che questa non sin se non una prima impressione, che coglie solamente ciò che vi è di più superficiale e coloristico nella vita spalatina. Perché altrove, e nello stesso porto, vi è gente che lavora sodo, come vi è gente che ciarla e si agita con la vivacità e la irrec1uietudine dei veneti o che discute e baratta con la tenacia piena di raggiri dei mercanti levantini. Nella stessa guisa che accanto al morlacco alto, bruno, dalle spalle quadre e dal sorriso aperto come memore di una lontana allegra ferocia, si incontra lo slavo sottile, il tipo biondo, opaco, che guar• da di traverso, con occhio smorto e subdolo e jJ veneto bonario, ma attento, claJla fisionomia cord.iale e chine• cherona, buon mercante e buon navigatore. Insomma è un paese dove sarebbe estremamente diUicile individuare un tipo e un carattere che lo definissero. E più si scende verso il meridione, più questa mistura di razze diventa evidente e caratteristica. Troppi e troppo diversi domini sono passati o con pnce o con guerra, sugli anti• chi Illiri e cinscuno ho lasciato qualche memoria di sè, più o meno evidente, e qualche segno che si è mantenuto più o meno chiaro, nel perpetuo Iluttuare delle popolazioni. E solamente le civiltà superiori, come quella cli Roma o di Venezia, hanno lasciato impronte concrete e inconfondibili, che superano in durala e valore il continuo fondersi dei vari gruppi etnici, impostando un probJema, in cui i conti delle statisti• che, più o meno partigiane, non possono naturalmente tornare. Le chiese, gli edifici civili, le antiche opere di difeso non sono altro se non memoria veneta o latina. Persino i turchi hnnno cretto le loro fortezze non sulla costa, ma nelle gole dei monti. E piace immaginare, non andando forse neppure tanto lontano dal vero 1 che fossero in• dotti a questo da ragioni di indole non strettamente m.ilitare. Comunque, proprio perchè le genti hanno origini e caratteri cosi eterogenei, la supremazia nostra, fondata sugli elementi meno caduchi, appare indiscutibile. Ed era apparsa indiscutibile del resto anche alla vecchia Austria. Il Governo di Vienna, cosi avveduto nel turbare gli equilibri nazionali delle popolazioni soggette, aveva da tempo cont;rapposto, all'italianità di queste città costiere, lo spirito avido di espansione dei suoi prediletti pupilli, gli slavi, favorendo la loro tendenza a spingersi verso il mare e lasciando che si accam- ~=ll~t3ri:{i:~r~n\/e!!:tàci~!d:~e;~st! poco alla volta, negli anni, al peso oscuro di questo assedio senz'armi. Rimaneva, nelle classi colte, con la coscienza della propria superiorità, la speranza in tempi più lieti, ma nnuIragò anche quella quando, crollata l'Austria, vi fu la delusione delle paci. !e11~_1~:,:1;a~~t! 1 cdat!at!s::ii~er:iI;f si: bandonnrc il campo e ripararono in Italia. Oggi qualcuno è tornato e contempla, felice ma attonito, i segni· del suo ventennale congedo. ll quartiere vecchio dj s1alato non è diverso in sostanza per i labirinto avventuroso delle calli e per il vario raggrupparsi delle case dai muri sbilenchi e per il suo tendere irresistibilmente verso il porto, dai quartieri vecchi di tutte le città venete di mare. Ha tuttavia questo di notevole: che è interamente racchiuso entro le mura dell'antico « paJatium » di Diocleziano. E pare che sotto l'insegna del remoto fasto questo agglomerato di vita miserabile sia cresciuto per ironia o per ritorsione, e che le mura quadrate diIendano l'attuale miseria con lo stesso impegno con cui dilcndevano lo splendore della corte imperiale. Questo quartiere però non è solamente una città vecchia o un quartiere povero in senso generico. Come accade nei porti cli mare, l'intrico delle viuzze dà asilo accanto alla povertà a una particolare forma di malavita e a quel fruttuoso genere d'industrio che su di essa può prosperare. E ,·eramcnte tutti i locaJi notturni di $palato, dicono che se ne contasse un numero davvero sproporzionato, si aprivano in queste strade. Maestra la Francia anche in questo per gli Jugoslavi, almeno se si giudiea dai nomi che ancora si possono Fondazione Ruffilli - Forlì NOSTRI GUASTATORI SUL FRONTE RUSSO leggere sulle insegne sopra le porte sbarrate, e inclizio ancora una volta delJ'inlantilc. presunzione, che era forse la più notevole caratteristica di quella singolare m.istura di genti. benico, oltre che a Cattaro e a Pola, l'Austria preparava il suo naviglio per la guerra adriatica. Certamente però le rocce di Sebenico sanno odore cli guerra eia un tempo assai più remoto: testimoni il castello veneto che sovrasta la città e il più arretrato o diruto Iorte mussulmano. Le scorrerie barbaresche e le più casalinghe imprese di quei pirati adriatjci, che ave• vano covo alle foci delJa Narenta, <love\!ano tro\!are un duro osso da rodere Del resto qualcuno di tali ritrovi è rimasto aperto e lo si può visitare, se non per avere un'idea chiara di come si doveva vivere qui, chè troppe e gravi cose sono accadute da queste parti in breve volge.-e di tempo, almeno per ritrovarne qunlche pallida reminiscenza. Il locale nel quale siamo entTati è sotto l'insegna del Moulin Rouge, cancellato, ma visibile. E come l'insegna è piena di sussiego, cosl l'inler-; no è subito paesano: qui non lo ,pumante doveva scorrere a fiumi, mo la grappa e lo sliwovitz e anche quel caldo vino delle rocciose vigne dalmate, che sporca le labbra e Inscio una spessa patina nel bicchiere, e le sbornie erano forse meno eleganti e ralfinate, ma certo più complete e vigorose. Però, a giudicare dall'ambiente, il modo cli divertirsi qui non doveva essere .spensierato. In genere gli slavi mancano di ~eggerezza in queste cose: ci met'tono qualche cosa di eccessivo, di troppo im• pegnativo, che in fondo suggerisce iJnmagini tetre. ' nel porto di Sebenico. Anche a Sebenico, come in tutte le città della costa, lo cosa che prima colpisce arrivando al mare è il candore della pietra. Una luce d'alba. E dà, fin da lontano, un'impressione di estrema lindura. Confermata del resto dalla e{Iettiva pulizia delle strade, delle piazze e dei cortili. Pulizia che riesce tanto più sorprendente, se si con~ Ironta con l'assoluta incuria dei villaggi d1e si incontrano appena ci si avventura appeno un poco verso l'in• terno. Segno anche questo, se ancora ne occorressero, della civiltà superiore che governava la costa e che non potè rimanere interamente sommersa. Sebenico era uno dei più muniti porti militari dell'Austria, durante l'altra guerra. E nell'arrivarvi se ne intendono facilmente le ragioni. La rada spaziosa, capace di contenere un gran numero di navi aJla tonda, è celato dietro due formidabili antemurali cli scoglio. E il passaggio è cosi esiguo tra le rocce, che il pi.roscalo per entrarvi deve ridurre le macchine al minimo. Con un equipaggio meno esperto di questi itinerari, ci sarebbe senza dubbio bisogno del pilota. Nel golfo di Se~ L'incontro più singolare che abbiamo fatto a Sebenico è stato con un prete ortodosso, dai capelli. lunghi sul collo e dGVt at~:;oa:t~e:;:ndr1ascinrsi fotograiare ed ha ocèondisceso subito, con ~:,~~~~o v:~it:~n 5r:~~r~llc~~a!~ l~~ to che ce ne Cossi.mo accorti. Prima di mettersi in posa ho tratto da sotto la tunica un pettinino e si è ravviati con cura i capelli e ln barba. Nell'anelarsene ci ha lasciato il suo indirizzo e ci ho ringraziato, ostentando di parlare italiano chiaramente. Quello che ci è apparso singolare nell'incontro è stata appunto Ja chiara parlata italiano di questo prete serbo. In ciò trovava conferma un fotto di cui fino allora si era avutn soltanto l'intuizione. Qualunque persona di una certa levatura intellettuale che sia discesa dai Balcani verso l'Adriatico, non ha potuto sottrarsi alla fatalità di avvicinarsi alla cultura itaJiana, imparando innanzilutto la lingua. Non certamente per necessità pratiche. A che cosa ovrcbbe dovuto servire, nella sua attività quotidiana, lo conoscenza dell'italiano a questo ministro della religione or• toclossa, che viveva qui tra fedeli uni~ cnmente serbi? La conoscenza dell'italiano deve essergli apparsa come una necessità idealè e proprio per questo più inderogabile. Si può pensare cho non fosse consentito vivere tra le pietre cli Roma e di Venezia, se non a patto cli intendere l'antico e aristocratico linguaggio di questa sponda. Ed è certamente per questo che costoro - come il prete ortodosso e co.mo quel professore serbo che avevamo incontrato qualche giorno prima a Spalato - possiedono un italiano perfetto, ma di sapore lievemente arcaico, letterario, e il Joro discorrere è cosi largamente fiorito di motti latini e di citazioni dantesche. Fl!ANCO VECLIANI 5

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