Pattuglia - anno I - n. 11-12 - set.-ott. 1942

(PULCINELLI) ANNUNZilO ClEIRlVIl Pretesto quasi critico: l'attualità delle rievocazioni sta al di là del motivo sentimentale, nel fornire, senza grandi pretese, fonti per la storia d' ,,,, autore singolo e d' un periodo. Ed è necessario accostare i minori per gli accenti di canto che possiamo riceverne. Molteplici interessi spmgono alle rievocazioni 1 e il più rilc, ante mi sembra un certo bisogno giovanile di scoprire nuovi o ignorati accenti cli canto, anche se la ricerca possa indurre la simpatia inclu.lgente verso l'autore preso in questione e non permetta un esame critico ncf vero senso della parola. E invero la rievocazione é critica minore (notiamo senza confondere, che la critica è sempre rievocazione) che, appunto senza approfondire, può giovare alla maggiore sorella, quando non sia ia1sata da !l"etorica e adulazione. A mezza via fra rigidezza e superficialità, essa deve insomma temperare un po' quei ,·oluto scetticismo che inaridisce Ja critica, già di per se stessa troppo s.ogget.tiva, e quella facilità di dir malo deg1i autori che, possibile per i noti, aumenta riguardo ai minori, i quali a poco a poco vengono dimenticati anche nei germi feooncLi della loro sorferta umiltà. Ma, si dirà, le commemorazioni assumono in generale un carat• tere commosso, specialmente allorchè si trhtti di morti in guerra, verso i qua..: li è ovvio ci si senta maggiormente attratti. E un esame critico severo sarebbe, in questo caso, vana pedanteria: se pur dall'alba ,si vede il giorno, quel tan• to che basta a stroncare un autore. E allora le rievocazioni sat'ebbero inutili, e ciò che ho detto sopra una giustiii• cazione bella e buona. Noi appunto per quel che dicevo sopra, per quel voler scoprire c;accenti di canto» anche in formazione, e per maggiormente determinare, con l'esaminare più scrittori sia possibile, i periodi letterari, nelle loro stasi e rinunce, progressi e reazioni. Pur tuttavia sono d'accordo con Renato Serra nell'aUermare che «Nè il sacrificio nè la morte aggiungono nulla a una vita, n un'opera, a un'eredità. Il lavoro che uno ha comp~uto resta quello che era, Mancheremmo al rispetto che è dovuto all'uomo e alla sua opera, se portassimo nel valutarla qualche cri• terio estraneo, qualche voto di simpa• tia, o piuttosto di pietà». E poiché oggi m'avviene di «rievocare» Annunzio Cervi ( «Chi. lo conosce Ira i soprnggiunti? ... A parte qualche fedele..... i più lo ignorano • scrive L. Fiumi), dirò, come il Serra' a proposito di Pégny, di commentarlo «con una malinconia che l'umiltà fa più dolce. Nessun bisogno di ingrandire l'uomo... ta guerra l'ha fermato, l'ha co• ricato sul suolo del suo paese, calmo, P8ndazione Ruffilli - Forlì !ermo, superiore a ~ i nostri movi• menti di un'ammirazione inutile come i rincrescimenti e le res~iscenze». Come R. Serra egli è morto in combattimento e ~i spiacerebbe non parlarne: il pretesto mi è dato da ciò che scrisse Lionello Fiwni sul «Carlino» del 25 ottobre 1938 nel ventennale della morte, al Col dell Orso, del poeta delle «Cadenze di un monello sardo» e dell~ postwne, «Liturgie dell'onimo». La poesia del Cervi è lirica in formazione, che lasciata la veste di sfogo talora un po' occasionale, avrebbe po· tuto acquistare un tono e che, .sottoposta al labor limae si sarebbe sfrondata di certi andamenti pascoliani e crepuscolari, e di certo conseguente fraseg• giare prosastico. Poesia indubbiameote interessante, per qualche stupito accenno per uo palese moto di superamento che s'intravvede nell'apparente fissità dei temi e nei difetti di un'esuberante natura. « Un po' mi somigliano le mie poesie monellucce ». Egli infatti è anzitutto un monello sardo, sardis~imo, poi fantasioso brigante (non come quelli veri, che Giu• lio 8echi, anch'egli caduto in guerra, aveva descritto in e; Coccio grossa ») appena ha vestito il grigioverde. Nel dicembre del '15 (riporto la lettera perchè le parole del Fiumi me ne incoraggiano) scrive al suo Lionello: «U monello sardo è :morto. NN. 2701. Stasera per l'ultima volta il monelluccio ha sbarrato occhi di bambino. NN. 2701: tra poco, al fronte, il brigante sardo. Allora quanta vita e quanta morte allora!... Stasera, stasera ho il presenlimento che morirò: si, dopo tutto. NN. 2701. Da monello a brigante, ecco tutto. E sempre sardo, sardo». In questa lettera è tutta l'anima e tutta l'essenza clella poesia .di A. Cervi: poesia che nasce, dall'isola ardente, scoppiettante, che spalanca occhi di bim• bo, e che contempla la morte. Questi gli a.tadi, se vogliamo parlare di pas• saggi, questi i motivi della poesia del nostro, velata di serenità. Riman&o, do/io l1<1to. 1e,npre q1<elto elle fui ba•bi110 i11 S.rd•6-• eo1t •irklli11a otti11a.a,io11e ,WrOl!ilJ,lieuo di ,;,Mribiui, monllllo pii d'o8ni •onello, upoiui~o ~r,ino - bi•.a,(lerO - un semplice capriccioso •riderello», che sente «la primavera in se stesso•, che sente il bisogno di comprare un «intrico di violette, o una combriccola di tresie giallette» dalla fioraia sulla via, che si compiace di ghiribizzose fantasie, d'un «mondo acquistato aHa soglia dei nicti•, per cui «ogni giorno è un nuovo giorno». Egli si compiace delle parole e dei diminutivi sc·tterzosi (leggiamo in NenieUina, «appanciollati su questa rena calduccia Usciti dal mare freddolino») e fo scoppiettare versi quasi fuochi d'nriiFicio, girandole incandescenti ( ve• di, ad esempio, Esteriorizzazione e ri• tornello), che toccano appena di futurismo (vedi anche l'Anticipo) dove però il futurismo non è che un pretesto per segnare c;gbirigori• di versi. . Altro compiacimento è quello per gli animali domestici soprattutto i por· cellini e gli asini ( c;se lento si avvicini Un asino randagio e il muso chini Sopra la violastra adunazione» dei por• cellini che grugniscono e «cercano osti.nati Tra foglie secche con il grugno nero» e s'intruffolano fra le pannocchie spoglie: «Nel cortile !rugacchino le foglie l porcellini coi nerastri musi») pretesti anche questi, scherzosi 1 per visioni di luce. Le donne spannocchiano e •• ,i arr~da ,ull'opra lahtna ,omiglia od una fioHu:a r~gi>ta fe,ma eol fu,o o ri1ttir(ir la luna e, in Raccoglimento, il ,ol• fra i eip,~ui eeeo uolue• ed il fUO rQuo grido eh• ,'innaba par cli• ,acco18" 0,6ni di,pcu,a luc• Di fronte all'aurora egli pone «l'ani• ma fanciullesca» di se stesso: egli è lelice d'essere bambino (vedi Neniet• tina) della :tua ritardata Canciullcria» ( c;monelluccio ero e rilorno» dice in Anticipo); e crea beUe ligure di bimbi. Net «Sogno dei cannoni latini•, dove il OOno è prettamente pascoliano, dopo che c;Tutt.o il giorno s'acèanl il cannone Giù dal monte, su l'avversa altura: Poi fu pioggia, e sotto la fresro.ra Rallentò, si tacque la tenzone. - Sopra l'acre odore degli scoppi Passò il buon pro(wno della terra: Nell'accanimento della guerra Un fruscio d'acqua là sopra i pioppi Come una preghiera Sul (ar della sei-.a.» 1 e i ~nnoni che, «si raffred• dan dormon ora queti Mentre il cielo annera , Nella rosea sera» (ritornello che torna mentre egli ci descrive la mansuetudine degli esseri e delle· cose, alla lentezza della pioggia, che poi «len• tamente tace»), mentre torna il sereno ecoo, sgusciati fra le sentinelle, .a,on 1>f1tuti Ire biMklli biondi ,neUi ,ullo no,1r11 baueria di K•ido,a •11rn1la olJ.grio arru//11ti i11 ,,..,,a, i• CIOOt 6Ìoco11di ( versi di nessuna pretesa che non sia echerzosa) e portano nostalgica allegria tra i :SOldati che rammentano altri bimbi quali Ml eade• della 1er11 1uni csuotii i11 tre.,.ula pregAi.r11, 6imbi per l'aufnfe dolc,ro,i nella lor eo,a I di ,il•n•io i,u,,uo (il terzo verso ha la freschezza di certi nostri primitivi); e sotto la luna, dopo avere ruzzato fra i «cannoni del• la rossa morte», il più piccolo s'addorme stringendo in pugno la sua purezza, ffientre gli artiglieri lo cullano cantando. Versi, questi dj!il «Sogno•, un poco dolenti come la Cine pioggia che vi tra• scoITe. C'è già il pensiero della morte. E A un bombino morto c;in bozzolo di corpo» iJ Cervi dedica una linea, la migliore nel suo ampio andamento: ;d olÌ'ln/i~i10, .in ,i'u,ui~ fo~;plic~bil•: li r~«mi Bambino ec:co la llora. a le el,e 1101t ,ei elle tilla baro, C'è una contemplazione, tra ango• sciata e serena, qui e anche nella Marcio di gioia della morte, dove il Cervi pecca di prosaicità e se ne stacca solo nella nota fanciuUesca della terza strola ( «Un'anima che tratteneva in te una parte della Vita, Come un bambino rnttiene, d'un tenue filo, l'aquilone S'è direguata troppo per le inCantili tue dita»). Conclusione della poesia, de• dicata a Michele Kerbaker («Vecchio, sei morto... vecchio, io so che ogni morte deve essere per noi gioita Come ogni nascita forse: perchè la Morte è Vita»), è questa: che la Morte è Vita, è un tornar bambini nell' lnfoito. Come Serra, anche Cervi presentiva di morire (ricordate· ciò che scrisse Panzini nel terzo capitolo de Il Diavolo nella miei libreria? «Perchè se.i morto, Renato Serra? Una leggenda 1 che corse tra gli amici 1 dice che tu andasti volontariamente incontro alla morte. Avanzasti contro il nemico con quella tua lronte dolorosa, finchò la spezzarono quella fronte. Certo quella sera che tu partisti per la guerra, tu eri sotto un'impres.sionc di fatalità»): lo preseòtiva con serenità di spirito. «Stasera, stasera ho il presenti.men• to che morirò»,· ripetiamo le parole che scrisse a Lionello Fiumi, questo poeta morto troppo giovane che amò pensare svagato, fanciullo che amò cantare fa• vole ridenti appena venate di malinco· nia. Le sue liriche rimangono così, come le scrisse il monello sardo, senza che egli potesse rivederle: coi loro difetti, quelli di un'esuberante natura. «Un po' mi somigliano le mie poesie moncllucce•. LUCIANO SEIIIIA

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