Pattuglia - anno I - n. 9-10 - lug.-ago. 1942

sandole solo cosi 10 ne posso sop· portare Ja presenza sulla laccia della terra ormai, ma averle davanti, vicino, carne viva che guarda che pensa che vive che sente, questo no, non Jo posso più S01)portare. MARTA - .Mi portavano in giro per Ja città, ed io ridevo, e dicevo che erano tutti pazzi. Mi rilìuterò sempre di rientrare nella vita, io che ho neJla bocca il sapere di questa vertigine vuota che mi affascina e mi agita nell'abisso delle viscere. finalmente sei con me, Enrico, Iinal• mente, dopo quindici anni, ho saputo scavare in te. · ENmco • Correvano come tre pazzi, iJ ragazzo d'ebano scabro e la ra• gazza di cera, portando i piatti bian• chi e creando il silenzio sulle IuccQ; dei clienti che attoniti li guardavano tracciare Jinee e cerchi, triangoli e archi, nella trattoria dai tavoli bianchi. Uscii sulla strada e mi sembrarono ombre le case, le creature v~ve, le piante, anche il sole mi sembrò un'immensa ombra con la sua Juce e col suo elisco, venne la sera, solo a11ora, perchè non lo vedevo e mi sembrnva un'ombra nel disfacimento di ogni cosa, potei trascinare al mio braccio l'amico e amarlo. Mi meravigliavo che sulla polvere le ombre potessero creare un mormorio di granelli di sabbia. Ma nc11'a1ba lo salutai, perchè parlò, mi guardò, lo sentii, cd ebbi paura dei suoi occhi e del suo corpo. No. No. Me ne andai sulla spiaggia d'argento. I.Jn vecchio, che era un cumulo di cenci, raggomitolato sotto un cap• pello pero ed unto, raccoglieva sabbia in un bacile e la filtrava al vento. - Cosa late? - gli chiesi. Colsi il fastidio della mia voce, della mia presenza fisica sul suo volto. - Raccolgo palline di piombo - mi rispose. Mi spiegò, assente, solo soJo per le mie insistenze, che i torrenti portavano dalle montagne sulla spiaggia le palline di 'J)iombo sparate dai cacciatori e che egli le raccoglieva nelle sue lunghe gior· nalc di sole e le vendeva a cinque lire al chilo. Mi mostTò delle pal• Jine tra la sabbia, deformate, e non mi vo.lle più nè -parlare nè guardare. ù vento che lo copriva sulle Ialde del cappello mi suggerì che solo quel mestiere, quella sistcmazbione wnana io potrei veramente accettare. Marta, è vero, è Yero, io sono finalmente arrivato a te. Lu101 VERONESI • Scena per 0 /l Re Pastore,, • Oratorio di Louis Cortese MARTI\ • La ragazza che si prostituisce, che vuole a ~rt,i i costi l'assoluzione che nessuno le vuol dare se non cessa di prostituirsi, e che sente <li non potersi più non prostituire, e che pure piange e si agita ,perchè vuole per forza l'nsso]uzionc, la ragazza che conosci tu, Henata, dobbiamo condurla alfo nostra conclusione, andio· mo a trovarla, andiamo, Enrico. (Marta prencle per mano Enrico e lo spinge verso l'uscita. lmproovisamente si fa nella camera una grane/e luce. Marta ed Enrico si fermano. Sono come ebbri ecl allucinati) J\.lAnTA - Ecco. Ecco. Un'immensa sala, ricordo. L' orchestTa d' argento, con 1 suonatori neri dalle camicie e daì volti bianchi e dalle cravatte ginl1c, suonava contro i Jarnpad.ari e le •pa• reti. Le coppie danzavano e ridevano e parlavano. Io, bambina, soffrivo, sugli occhi spalancati, di tutto. Ad un tratto potei continuare a vivere non soffocata, solo perchè sei:tpi crear• mi il sogno. Morirono le coppie e l'orchestra. Le portarono fuori. Quando Ja sala fu vuota, allora la luce !u per me ancora più grande. (fo luce si fa pili alla) Solo allora potei SO!j>• portare la presenza delle CCfPpie che danzavano mute e con movimenti così eguali da sembrare immobili, ed il suone dell'orchestra che tuonava così ritmata e monotona da creare attorno sopra sotto abissi <li silenzio immotL Così. (Marta lrascin" ancora Enrico t,er• so l'uscita) MARTA - Andiamo, andjemo della tua amica Rimata. (Marta ed Enrico scompaiono mentre le luci in un attimo si spengono) TELA SECONDO ATTO libere. Renate, e Olga, raga=ze sulla ventina, in pigiama, sono pigramente stese su due letti ampi e bassi. Luce molto lenue. OLGA - E finita Ja nostra giornata di lavoro. llEl'•UTA• E finita. Qu;" - t andata abbastanza bene. lo sono un po' stanca, pure sono conten· ta. Tu non sei contenta? R1:sATA • Io sono sempre contente. OLGA • Che strani tipi ca?itano! Ormai siamo abituate, ma ci sarebbe da im· pazzire •per le continue sorprese che si hanno. Uno... piangeva anche, un aJtro voleva essere fustigato, un al• tro. .. avrebbe voluto fustigare. A te non capila questo? JlENATA• 1 lo non so. Non mi ricordo mai di no.Ila, anzi non ci bado, 'llon me ne accorgo neanche, non guardo, non , edo. OLGA • Già. Tu ormai hai 1a tua fissazione che ti ha presa tutta, e così non badi e non pensi tpiù a nulla. RENATA- E così. OLGA• ~la io non capisco come tu •;>ossa cctntinuare a vivere in questo modo. RE:rrrr.AT•ANeanche io lo so. OLGA • Ma, scusa, Renata, dovresti es• sere ragionevole. Cosa vuoi infine? Ormai avresti dovuto capirlo. Vuoi J'nssoluzione? Cessa di fore questa vita e te la daranno. Te lo hanno detto già chiaramente. RE:rrrr.AT•ANon posso. OLGA • AJJora non conlessare che lai questa vita. ReNATA - Non sarebbe un'assoluzione per me, di front.e alla mia coscienza. OLGA • Allora dici di avere abbandonata questa vita, cli essere pentilo d'averla fatta, e cosi t,j danno l'assoluzione. Dopo, magari, ritornerai a !arJa. RENATA- Mi sentirei troçç,o vile da,•anti a Gesù e questo non Jo voglio assolutamente. OLGA- Ma allora cosa vuoi fare, Henala? Re:rr.ATA• Non lo so. OLGA- 'fu comprendi che cosi non •?uoi andare avanti. RENATA•' E Vel'O, non vedo una via. Pu• re non so desistere dall'ansia che mi è entrata dentro. (entrano .\farta ed Enrico) RE:rrrr.AT-AOh! Enrico. ScENA OLGA • Buonasera. Con chi sei? Una camera dall'e~:,s:nza ambigua: E~n1co • Mia sore11a. Fonda'zroner't<(Vffittf·~·'Fortl due ragazze si alzano) RENATA- Tua sorella qui? E perché? OLGA - Che strana idea ti è venuta in mente? ENn1co - Ha voluto lei venire. RE:rr.'ATA- Scusate, signorina, accomodatevi. MARTA • Grazie. No. Questa vostra camera è pru;,rio come io immaginavo dovesse essere la camera d'una ragazza libera. Ambigua e triste d'una tristezza aggu,.lttutn dietro i mobili, tra le stoffe, sul pavimento, e pie• gata sul soffitto e sulle pareli. Ad ogni modo, .questo non ha importanza. Prego, accomodatevi, ritornate come prima sui vostri letti, vi ,prego, jo mi chiamo Marta, datemi del tu, vi prego, accomodatevi (1\farta osserva le raga==e. Le due si stendono come prima sui letti) 1\IAR'I\\ • Tu sci Renata, evvero? RE:rr-ATA- Sì: MARTA •• E tu 0Jga. ·OLGA- Si. 1\lARTA• La sera è fresca. Ci assalha dalle case e dalle strade con masse di palazzi ridotte ombre. Come vi siete conosciuti con Enrico, Renata? llEsATA -- Oh! Era venuto c1ui con un suo amico. L'amico è andato con Olga, io e 1 lui siamo rimasti qui, sul letto, a parlare. Ngn ci guardavamo n~anche. l:.NR1co - ln fondo credo che noi due non ci siamo mai guardati. HENAl'A • E: vero. Non ricordo precisamente come abbiamo potuto fare ad entrare in tanta intimità. Lui mi ha parlato di tonte cose sue molto intime. Questo mi ha dato coraggio e così io gli ho detto che ardevo dal dc.si• derio d'avere l'assoluzione. Egli mi carezzò e mi promise che mi avrebbe oiututa. Ma non vogliono darmela, capite? non vqgliono, dicono che dovrei cambiare vHa. Come posso cnm• biare vita io? MARTA • Cosi, semplicemente, è vero, come posso cµmbiare vita i~? E lo stesso che pretendere che io ipossa cumbiarc la mia vito. RENATA • E sapete a quanti ~~cerdoti mi sono rl\'olta? ~1ARTA • Pure tu pensi che ne avresti il diritto. H1:NAT1-1 Sì. Sì. Poichè io non godo in questa vita, anzi soffro, soffoco, muo• io, a sostenere su c1ueste mje povere carni valanghe di corpi che si abbat• tono in rantoli paurosi. La notte mi sembro che questi rantoli mi lranlu· mino, mi sgretolino dontro il legno di questi mobili, il ferro di queste reti dei nostri letti, capite, capite, signorina? MARTA • Sì. SS. ~la se sorfri in questo modo, chiamami Marta, chiamami Marta, senti, se sorfri in questo modo per• chè non abbandoni questa vita, tanto più che questo abbandono f?UÒ soddisfare la sete che hai di ottenerle l'assoluzione. HENATA• 1'\on posso, non ,:,osso, ti pre• go di comprendermi, non ~>osso, tu mi comprendi. MAnTA - Sì. Ti comprendo. Guardami in fondo agli occhi. Guardami. E guardami anche tu, Olga. Ve ne siete accorte? Enrico non ve lo ha mai detto? Io sono la sorella pazza di Enrico. · OLGAe REsATA • (o coro, e con uno scat· to di sorpres<t e di paura) Voi? ì\-hnTA - Si. Io. Avete visto come il bianco degli occhi si acceca attorno alle mie pu;>ille? Sembrano calce viva sotto unn Jampndn ossessionata di luce, evvero? Colmatevi e rispondetemi. Possiamo parlare in fraternità assoluta e t.-anquilla. OLGA e RE:rrrr..\'I•',\ t vero. ~1ARTA• Io voglio essere pazza da ciuin• dici anni. lh~NATA- (timicla) Enrico ci ha sempre parlato di te. ÙLGA • Sempre. :MARTA• Parlate con sicurezza, non cosi impacciate. Io sono venuta ,per aiu• tarti, llennta, e se vuoi posso aiutare nnchc te, Olga, come ho già aiutato Enrico. RENATA• Grazie. OLGA • Ti siamo molto grate. ~fAnTA • t vero, Enrico, quello dico? che io Errn,co • Continua, Marta. Occorre che tu mi chieda questo? MARTA • Parliamo dunque amichevol• mente. Siedi, Enrico, accanto a Renata. (Enrico siede accanto a Renata) Potete stare vicini e siete lontanissimi e pensati, senza tpeso l'uno per l'altra, poichè non vi guardate, mai vi siete guardati e mai vi guarderete negli occhi. Non procco;,atevi se io giro per la camera, ho bisogno trac• ciare certe forme sotto le palme dei piedi •per potervi parlare, non pcn• sateci, è cosi, è così, deve essere così. (pausa, durante la <1uale Af <irta gira per la c<mtera toccando mobili e og• getti, Enri<:ò, Renata e Olga la guar- <fono perplessi). 9

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