Pattuglia - anno I - n. 5-6 - marzo-aprile 1942

O spirit~ del morto, eh~ occu· pava una delle cellule del cervello, sentì che tornava allo stato coscìente sott; l'involucro di un corpo piccolo, fine e gelatinoso. A poco a poco, riuscì a ricostruire tutto ciò che era accaduto, dal n10mento in cui il cuore si era arrestato definìtivamente. Nella camera ardente lo spirito aveva udito i passi delle persone che si avvicinavano con precauzione e rispetto e si scoprivano, contrite, davanti al cadavere; u• dite le preghiere bisbigliate dalle· donne ed i singhiozzi della .famiglia. In un certo momento, quando la moglie si era avvicinata alla bara per depositare un bacio sulla gelida fronte di colui che non· era più, lo spirito aveva fatto appello a tutte le energie del corpo ma nè le sue labbra avevano potuto pronunciare una parola, nè j suoi muscoli e le sue articolazionei erano riusciti a scuotere quella spaventosa immobilità. La materia reStava inerte, senza movimen\o, mentre lo spirito respirava e si dava conto esatto di tutto, benché privo di un mezzo umano per rendersi visibile: muto e immobile, incapace di sfuggire da quel corpo morto, inorridendo al pensiero che sarebbe portato al cimitero e sepolto insieme con quelle membra fredde, insensibili, in un riposo assoluto, tenebroso, perpetuo. Ciò era più terribile del supplizio di Tantalo, più crudele del tormento di Prometeo, più mostruoso e desolato di tutti i dolori della vita; un dolore di una amarezza cosi penetrante, che non poteva paragonarsi a nessuna tragedia umana. L'anima prigioniera in quel corpo che doveva essere pasto dei vermi! Era orribile, e lo spirito ne rabbrividl, come se in quel momento si fosse convertito in materia. Ma se era impalpabile, perché non si staccava da quell'organismo privo di vita e non si elevava negli spazi puri? Vano tentativo! Una forza, strana, prodigiosa, lo tratteneva, lo faceva aderire ancor più strettamente al cervèllo del morto. Un giorno, molto tempo era trascorso, la particella cli cervello a cui lo spirito era costretto ,u agitò e il suo gelido contatto si" trasformò in un soave e gradevole tepore. Era una specie cli sostanza albuminosa, umida, nella quale si dissolvevan9 composti cristalloidi; una massa granulosa, ialina, di una gelatinosa consistenza e con una tale elasticità che poteva a un tempo diminuire o c1·escere di volume. Comprese. Dalla materia disgregata, si formava nuovamente una vita cellulare. Alla l'.ine sorse una larva. Il verme ora - poichè era questo il corpo piccolo e gelatinoso che gli serviva da albergo - si allungava e si piegava per contemplare con avidità le spoglie del morto sepolto. Allora lo spirito, per evitare quel macabro banchetto, si rese padrone della volontà del nuovo essere· e l'obbligò a mettersi in moto. Il verme obbedi. Lo spirito, avuta una prova del dominio che esercitava, pensò come liberarsi dalla sua reclusione. E la biscia ripugnante uscì dalle profondità del cervello, attraversò il foro che una delle pupille del cadavere avéva lasciato vuoto. Lo spirito volse un ultimo sguardo di orr-ore al suo passato involucro corporale e poi, guidando sempre il suo salvatore, gli fece abbandonare la bara da una fessura di una tavola tarmata. Dotato d'una meravigliosa costituzione; quell'essere, che a prima vista sembrava così debole, era resistentissimo e la sua forma ad ago gli serviva per disfare le zollette che gli si paravano davanti e gli tagliavano il cammino. Presto s'introdusse in una galleria costruita in modo ammirevole. L'ampiezza di quel sotteraneo non misurava più di un centimetro. Lungo questo sentiero, s'incontrò in alcune formiche, le quali non osar9no ingaggiare combattimento, con la speranza forse che il verme non uscirebbe vivo di là. Ma lo spirito, temendo un agguato da quei pericolosi nemici, incitò il suo salvatore ad affrettare la marcia verso la superficie terrestre. La spoglia del morto avanzava sempre fra le tenebre, quando una luce intensa arrossi le pareti del buco; e, dopo poco, il verme uscì all'aria libera, fermandosi sull'orlo del foro. Per imposizione dello spirito intransigente, chiuse gli occhi e si arrotolò in forma di un piccolo uovo per riposarsi del suo lungo viaggio. Ad un tratto, lo spirito si svegliò sussultando. E provò un'immenso terrore. L'immobilità della della morte lo avvolgeva di nuovo. Un uomo, nel passare su quel terreno, aveva diviso iQ due parti il suo salvatore! Lo spirito era sempre nella testa del verme che, separata dal corpo, ebbe ancora l'energia di contorcersi nelle ultime convulRondazione Ruffilli - Forlì sioni di dolore, e, rotolando sopra alcuni sassolini, andò a ca- .dere in vicinanza di un rosaio. Orribile! Orribile! Di nuovo lo spirito sentì la quiete spaventosa, il freddo della vita che svaniva a poco a poco da quella miseria fisiologica. Aveva piovuto molto, . e la testa del verme si trasformò in un residuo organico nitrogcrato; l'acquc, trascinandolo via, fece sì che fosse assorbito dall'apice delle fibrine della pianta. Risalendo lungo il suo collo o nodo vitale, lo spirito si collocò nel calice della rosa più bella. Come godette allora, vedendosi circondato dai suoi petali profumati e soavi! Con angoscia, ripensò alla sua reclusione nelle profondità della terra, al contatto vischioso con la materia decomposta e alla sua tenebrosa ascensiLne per arrivare alla superfice della terra. Ora aspirava con delizia la brezzolina cosi gradevole di quel mattino di primavera; ascoltava il canto degli usignoli e, quando il sole rese trasparente i l)etali della rosa, lo spirito, dimenticando tutte le sue passate sofferenze, si addormentò èbbro di luce, di colore e di profumo. Trascorsero vari giorni d'una vita felice ed allegra nel calice di quel fiore meraviglioso; ma una mattina lo spirito si senti scosso brutalmente e udi uno scricchiolio • strano commuovere tutta la pianta. Una bella fanciulla aveva re: ciso il fiore che raccl1iudeva nei suoi stami lo spirito del morto. Lo spirito, prima di cadere nell'incoscienza, ebbe il tempo di ma· ledire chi l'aveva privato del suo felice ritiro. Quella rosa, avvizzitasi, fu conservata tra le pagine di un libro di versi. La fanciulla mori l'anno seguente. Il libro fu venduto; ma si ignora dove sia finito. (Tradu;;ione di Mario Puccini) Proprio non ha tutti I torli chi arferm.a che la voce del glo11anl è poco ascoltata. Anal al hanno lo proposito, qualche volta, del ca.al veramente sconfortanti. Uno ne 11ojllamo far notare, che cl è rlma1to lmpreHo. Anche al Convegno di 'Verona i partecipanti propo■ero all' nnanlmllR, per bocca del came1:ala l\lenegbello e di altri, che venlHero aboliti dal Con. vegnl Unluerallarl anzltullo i premi, apecle In danaroJ e pos■tbtlmeole anche le clasalhche • .ll llerona non potè onere tralasciata la claaalnca, dato che precedentemente •e1l1tevano dlapoabclonl ■uperlorl; tuttavia la Commla■lone, con esalta compren■lone del momento e delle no■tre e■lgense, al llmltò ad una graduatoria molto geuerlça. Parve a Verona che molto delle letaoze affiorate dura.nta la dlacu•- aloue do11ea■ero avwlarsl ad una attu.uione pratlça; si sperava che almeno queata riguardante i Convegni, Foa■e dl Faclla raallzzaalona. Seoonchè, come fu come· non Fu, bel ballo arrivò Il regolamento del Convegno di Padova - nientemeno che di studi par la rlcoatrudone europe~• . che comprendeva premi ln danaro, coppe claHlhcbe ludlwlduall per Gor. E allora? CARSTPAREC Ammesso pure che tutla la carta premurosamente riscr\'ata dal competente Munistero alla stampa periodica sia, come dicono i più, assolutamente sciupata e costituisca, come dicono i più, uno scltiarto nlla francescana povcrrn di cellulosu della Nuzionc. ci pare che l'amico Dell'Oste, direttore dell'Assalto, il fiero settimanale della federazione bolognese, abbia stavolta esagerato nel dare corda ai sostenitori di tale 1>urtito preso. Infatti si è lasciato scappare due intere colonne di prosa del giovane collaboratore Bignardi non dedicate, come la loro insolita lungr,ezza farebbe 1>ensare, ad un gravoso problema quale quello <lella sistemazione degli spazi vitali secondo le principali leggi geopoliche, nè tampoco c1uello della riorganizzazione dei mercati mondiali delle materie prime, sibbcne a noi, proprio a noi miserelli di « Pauuglia », In forli- · vese villereccia « Pattaglia ». A due colonne si dovrebbe rispondere con adeguata larghezza di mezzi, ma la· pochezza deJl'urgomento e la lcvit:·1 - vorrèmmo dire, amcoa vacuità - delle variazioni melocomicbe che al. rapido <' forse disattento esame direttoriale di Dell'Oste sono certamente sfuggite, ci persuadono ad usar meglio del nostro spazio conteso. Anzi a dire· il vero, noi che eravamo partiti con la trucibaJda idea di conciare per le leste l'untorello glossatore bolognese, non ~appiamo ora come mandare avanti la tirata non sentendoci di sventagliare stoccate contro il vuoto dei chisciotteschi mulini a vento. Come polemizzare inJ'alti con chi è costretto ancora a ricorrere al' vago artilizio ironico di definirci « tal i>attuglia forlivese •; come cercare di impiantare una soda e: cost.ruttiva polemica contro chi attacca i nostri collaboratori poetici e p~i manda ad arrampicarsi sulle pagine di ur. giornale di universitari alle armi certi plotoncini di parole. tisichcJle dal senso tanto profondo e riposto da sospetU\rc che non esista affatto? ! (A proposito di quel giornale universitario a, 1remmo molte cose da rilevare, dalla suddetta poesia a un incerto articolo sul sindacato e soprattutto ad una nota che tratta delle rivendicazioni dei combattenti quando torneranno. Chi scrive non ha atteso cartoline rosa per partire, eppure è di quelli che pensano che queste sluriate a base di « verrà il giorno », e di « farem i conti », oltre a lasciare il tempo che trovano per la loro genericità e gratuità, non sono affatto generose e ci persuadono che chi le la non abbia trovato ancora dentro cli sè quella calma che è frutto dell'appagamento per il dovere compiuto e del resto se ne impipa. Questo diciamo per il solo motivo che Bignardi appare essere il redattore capo di quel fog_Iio). Altro non c'è da aggiungere per l'imputato Uignardi. Ci 1·ifiutiamo di pronunciare una troppo severa condanna por non dovergli concedere attenuanti che potrebbero anche suooat·c offensive e ci ,auguriamo, ad altre prove più serie, di poterlo riabilitare. A OelJ'Oste, amico carissimo, ci" permettinmo di ricordare ciò che egli potrebbe insegnarsij che questioni più grandi di noi ci sovrastano ~ che, perdendo tempo, fiato e spazio in queste quisquiglie, si minnceia di non Ottenere nessun meritevole risultato e di oHrire sproporzionatamente ribalte a chiacchierate di oscura derivazione Q a personalismi di bassa lega. A. R.

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