Pattuglia - anno I - n. 3 - gennaio 1942

1111 I A VILLN Racconto di C a r I o Martinelli li piccolo e ossuto professore di pianoforte. che da qualche giorno aveva chiesto e ottenuto di mangiare alla mia tavola, mi b'\Jarclò, come sempre faceva, con gli occhi di chi si prepara a un pranzo due volte buono - per le pietanze e per la compagnia - e tutt'a un tratto si mise a piangere. Po<'hi secondi di lacrime; poi avvoltolò con cura unn grossa forchettata di pastasciutta e cominciò a masticare. Oli imo, questo sugo - disse con la voce incerta, ancora non completamente libera dai singhiozzi. Feci di sì con la Lesta, e lui si rimise a piangere; seguitando a ginre. * ** Fine di settembre. La prima cosa che mi colpì 1 e cancellò gran parte del mio entusiasmo, fu il veder che le rondini erano già partite da Villa Serena. forse, dovevo immag.inarlo: fine di settembre; ma speravo di no. ~cmmeno, lo speravo: non l'avrei ammesso, due minuti avnnti, pur se qualcuno mc n'avesse parlalo. Villa Serena scnzn rondini? Macchè! Non lo diciamo ne• anche per scherzo. O non era in un mondo lutto speciale, quella Villa nel verde, venuta su tra le balze d'una collina da fondale di palcoscenico? Se, lì come dovunque, bastava un po' di autunno per far capire che, davvero, jJ sole non era più sole; per vuotare j nidi attaccati al soHitto della loggia più grande - quella che dopopranzo raccoglieva le pe~ e i sorrisi di tutti, - Villa Serena non era degna dei discorsi soltanto pensati con cui tanti silenzi di casa e di strada m'eran parsi tra i sogni più belli. Invece, non era cosi. Anche a Villa Serena l'autunno era l'autunno; e, dunque, l'inverno sarebbe stato iiinverno. La loggia: sempre quella; il verde: sempre quello; gli ospiti: sempre quelli, pur se, alcuni, venuti su da poco, nuovi di male e di cura. Anche il sole-, anche il sole... per ora, e chissà fino a quando, era lo stesso. Rondini: no. Sparite. Villa quasi Serena. La cameretta era bella. Tutta a fiori, con i mobili chiari e il pavimento di legno avano, col soUitto che, da sopra alla porta, s'incurvava preciso sino a toccare la tenda dello finestra e qui moriva, senza interrompersi, ma anzi continuando, nella parete stessa in cui la finestra era aperta, somigliava all'interno d'una enorme macchina fotografica con l'obiettivo fisso sempre al solito punto: Firenze. Firenze, e un po' di ciclo; fiorentino da sè. Mi ci portarono scendendo 1>er una scaletta di marmo che fi_niva in un corridoio simile alla «passeggiata• di seconda classe d'una nave, mi fecero vedere i mobili, m'indicarono la poltrona di stoUa rossa, aprirono la linestra e mi guidarono lo sguardo verso il panornma. Poi, nel lasciarmi solo: - Avete bisogno di qualcosa? Eppure, non m'il'ritai. L'ambiente agiva già sui miei nervi. in ogni cantuccio del bosco. Mi vide, mi venne incontro con la sua saltellante unclatura da collegiale settantenne, mi domandò: ~ Quando siete arrivato? Niente prt:!sentalioni immediate, niente «Come state? Come mai siete qui? Che cosa vi sentite? •. Quando siete arrivato, e basta. L'essenziale. - Ieri sera. E voi? lo? Io son qui dalla nascita. Ov\ero: dalla rinascita. Per undici anni, sapete, io sono stato morto. Qui, un mese fa. ho ricominciato a vivere. Per la seconda volta ho fotto i p1:imi passi, e ho rinnovato la mìn conoscenza con le cose e con gli uomini: col mondo. !yt'han lasciato, è vero, il nome che avevo prima: ma per loro, perchè gli altri potessero raccapezzarsi. on per me. Io son nuovo. Mi portò sotto la loggia, in un angolo da cui si \'edcva, oltre agli o.iberi e a11e st1·ade sassose. un torrente di cose che scendeva laggiù, a sfociare nel lago della cittii piatta. Conoscete nessuno, qui? - Non lo so. A Villa Serena ci son venuto un'altra volta, mu cosi, di passaggio. Può darsi che i miei amici d'allora se ne siano andati. Come lino fallo le rondini. Parve riflettere. - Già. Può darsi. Comunque, è gente molto strana, anche questa. - Strana? Uomini e donne diversi da tutti gli altri, volete dire? Allungò le labbra chiuse, stringendole e tacendosele piene di piccole grinze. - Diversi Fino a un Molto meno di quanto si dcre. certo punto. potrebbe ere- - E, allora, gente strana perchè? - Proprio perchè, in Condo, sono come tutti gli altri, pur trovRndosi qui. Badate bene: pur trovandosi qui. Uno crede che a Villa Serena s'acquisti il diritto di mostrarsi come davvero ci sentiamo, senza vergogne, senza modestia, e invece s'accorge che gli altri - l'umanità - a un certo momento gli dicono: basta, esageri. E tu devi tornare indietro, e capire, o far tinta di capire 1 che hanno ragione loro. Il piccolo e ossuto protcssore di pianoforte sospirò e, tirati gli occhiali sulla fronte, si strusciò per alcuni secondi, col pollice e l'nnulare a cavalluccio del naso, gli angoli delle ciglie. - Ct·edete a mc - riprese - c'è molta gente, anche qui, che occupa un posto non suo. Poi s'accorse che il sigaro tra le labbra era ormai spento da un pezzo, e tirò fuori la scatola dei cerini. Si buttò più all'indietro con la schiena sullo poltrona, allungò le gambe, accavallò i piedi. Disse: - Per esempio, guardate - e accese il quarto cerino senza riuscire a Iar prendere il sigaro carbonizzato - ne volete sentire una più bella: a me si proibisce di piangere. A Villa Serena! •** Calmo, lo guardai beòe in faccia. Il piccolo e ossuto pro(essore di E chi ve lo proibisce? pianoforte (u la prima persona che - Gli altri, l'umanità, al solito. incontrai la mattina dopo, quando, per Basta che mi sieda a tavola e che la curiosità della compagnia, salii mi lasci andare a sciupar qualche lanell'atrio vastissimo della Villa e, senza crima - perchè sono sciupate, badia• F 6"naazi'o nè i~"Jff'mi"~°F or1ì le mie lacrime _ • subito qual6 cuno mi vien d'intorno e mi dice che no. non lo devo [are, che mi fa male, che mi guasto il desinare o la cena ... Per chi credete che lo facciano, in fondo? Per me? ~o: per loro stessi. Per il loro egoismo. Veder qualcuno che soffre (ma io softrirei se non piangessi, e questo non lo sanno) rovina la loro cena, e il loro desinare. E non vogliono. t giusto? - Non lo so. - t giusto, ma 1>er loro. E non esitano a commettere un'ìngiustizia verso di mc. L'egoismo, curo mio. l'egoismo. Intanto per le piccole strade disegnate tra i boschi eran nati, anche quella nrnltinu, i rumori e le \•Oci di sempre; e sul fiume di case che scendeva continuo d;1lla collina al piano s'erano spalancate centinaia di finestre: centina.in cli barche che per miracolo d'a1·ia e cli luce non seguivano la corrente. Ma perchè, professore, piangete? Si strinse nelle spalle. - Mi 1a bene, mangiando. Pro\ale, pro, ate unchc voi. ~li proverò. • •• miei giorni di Villa Serena! Giorni passati non mai solo, e sempre con me stesso. Sul finire d'ottobre, quando già m'ambientavo in c1uel mondo destinalo a rimettere in semplice discussione il perchè della vita e della morte 1 cominciaron le pioggic. E gli ospiti di Villa Serena furon tutti dietro i vetri delle grandi finestre, sorpresi, con la sempre pacatu meraviglia di chi assiste a una cosa cli cui tanto s'è parlato e sentilo parlare senza crederci troppo. La pioggia, qui? Ed il freddo? E le lunghe ore grigie cli chi non sa come fare a raggiunger la sera, eppoi quando fa notte s'avvecle di non aver cambiato di nulla i discorsi e i sospiri? Ogni tanto, a metù d'un pomeriggio 1 la musica del pianoforte chiamava <1ualche ospite nella saJn. I più ci anelavano attirati dagli nitri; ed eran quelli stessi che, sin dal buongiorno della mattina, dovevano rubarti le parole sul labbro e masticarle da sè per ripclcrsele dentro: i silenziosi e miti sordi di Villa Serena; due volte sereni. Il piccolo e ossuto professore di pianoforte (sempre lieto del suo sigaro spento e del suo f-iammifero inutilmente acceso) mangiò con me, alla mia tavola nascosta nella candida nic~ chia del salone da pranzo, fino dai primi giorni. Lo capivo io solo ( «Aspettavo da un pezzo qualcuno come voi•) e lo lasciavo piangere. Con me, non gli davano noia, non gli andavan vicino per dirgli di star calmo. C'ero io: una specie di solo responsabile che eliminava gli altri. E piangendo riusciva a mangiare; o mangiando riusciva a piangere. Questo, nemmen io l'ho capito benissimo. ~fa ho creduto opportuno di non formarci mai una domanda. Piangeva, lo capivo, lo lasciavo pian• gcrc. Era lui, Cinnlmenlc ! *** ~o,•cmbre, dicembre. gennaio, fobbraio... metà di mnrzo. Già da tanto i giorni eran di nuovo chiari ed il bosco sotfiava i suoi pro- [umi nelle camerette a fiori col pavimento avana e il soUilto incurvato. Me n'anelai una mattina in cui un ospite nuovo venne a darmi il cambio prendendo proprio la mia camera, privandomi cosi della gioia di ripensarla vuota, silenziosa, a aspettarmi. Rifoci il corridoio simile alla « passeggiata » d'una nave (e mi parve dav"cro che Cosse <1uclla la seconda volta che l'attraversavo) e salii nell'atrio vastissimo della Villa. Eran li, quasi tutti. Il piccolo e ossuto professore di pianoforte mi venne incontro. Ve ne andate? Mc ne vado. Mi tirò da una parte. - Falerni una cortesia: l'ultima. Dite agli nitri chè mi lascino piangere. - C ill tatto, professore, già fatto. - Dav,ero? - Davvero. - E credete che ... ? - Ne sono sicuro. Han capito. Respirò. - Che cuore! - e mi strinse le mani - M'avete reso felice. Passai davanti agli nitri seduti nelle larghe poltrone di cuoio accosto alla parete. - Addio .. . - Addio .. . • ** Addio, addio ... Dnl viottolo, in alto, sorpassato il cancello, si \'edeva la cnsu. Mi chiamò, dal sotfitto della loggia più grande, un insolito bàttito d'ali. Le rondini. Ecco: Villa Serena. CA/11,0 MAIITINEUI GABRIELE MUCCHI" RAGAZZA CHE LEGGE,,

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==