Passato e Presente - anno III - n. 14 - mar.-apr. 1960

• • Pluralità dei partiti 1821 politico-propagandistica, ma ha voluto marxisticamente collegarsi con un'analisi economico-sociale, la cui risultanza è l'ammissione di forze produttive private nel processo di trasformazione socialista, quale esso si prospetta realizzabile nelle circostanze storiche attuali in Italia. Il problema che rimane è allora dato dal senso di precarietà e di provvisorietà che una indicazione del genere reca con ·sé, e che proprio quel nesso fra la persistenza della pluralità dei partiti e la funzione, , necessariamente transitoria, di certe forme produttive, non può non ribadire. E' come un residuo di << doppiezza>>, che il richiamo ad esempi di pluralità di partiti in Stati come la Cina e la Polonia - un richiatno espresso sia durante la preparazione sia nel corso della discussione del Congresso - sembra sottolineare. Perché non è certo il numero dei partiti in sé che conta, ai fini della << garan:zia liberale»; ma la funzionalità dei partiti come forze politiche autonome, in grado di assicurare l'espressione di una diversità di opinioni nella formazione e nella esecuzione della << volontà generale >>, e quindi la dialettica del controllo e della competizione, in grado insomma di mantenere sempre aperta la p·rospettiva di un'alternativa di potere. D'altronde, è superfluo rilevare come l'accettazione pura e semplice del gioco dei partiti quale ci si presenta oggi nella maggior parte delle democrazie capitalistiche stia diventando sempre meno plausibile pèr effetto della crisi stessa interna al sistema. Vien naturalmente subito da pensare alla recente esperienza francese. Ma a sua volta la catastrofe delle istituzioni parlamentari in Francia non è che il risultato di un processo degenerativo in corso da decenni nei paesi a regime liberale-democratico: un processo che riguardo alla funzionalità d~i partiti si esplica nell' affian~arsi o sovrapporsi ad essi di altre associazioni ed organizzazioni (come da noi la Confindustria, la Chiesa, ecc.), le quali sempre piu pervengono ad appiattire l'autonomia delle singole formazioni politiche, a imporre a tutti i partiti << borghesi» un comune denominatore politico, un sostanziale, anche se non sempre manifesto, fronte conservatore. Sono cose ormai trite; ma, insomma, si potrebbe riassumerle notando che anche per chi ritiene che la lotta di classe non ab,bia la posizione centrale teorizzata da Marx, basterebbe da solo un discorso di De Miche!~ o un articolo del cardinale Ottaviani a puntualizzarne l'incidenza· fondamentale nella odierna vita italiana. Quale a/,lora la via d'uscita? Naturalmente qui ci si propone solo d'indicare il punto problematico, non certo di delineare una soluzione. Non sarà però . inutile continuare a risvegliare la sensibilità del problema. Perché, certo, solo nel concreto della vicenda politica, in eundo, si potranno effettivamente delineare le prospettive di fondo; ma la vigile coscienza critica, la riflessione spoglia di schemi dogmatici sono indispensabili Biblioteca Gino Bianco •

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