Passato e Presente - anno II - n. 10 - lug.-ago. 1959

Il mito dell'industria altamente probabile che, fra i due poli dove si è concentrata con il massimo di energia e di capacità,scateni oggi la terza guerra mondiale). C'è, dunque, un vizio profondo nella positivistica e scientistica aspettativa ottoc~ntesca di veder nell'industria la potenziale risolutrice dei problemi umani, e nel pretendere che, nella contradditorietà dei rapporti di produzione che essa implica, si trovi la matrice positiva di una conflittualità dialettica anche durissima, ma ad esito positivo. Ben pochi, oltre Dewey, ci avevano fino ad oggi consentito di deq.urre in particolare, partendo dalle sue premesse metodologiche generali, che l'industria non contiene dentro di sé la risoluzione delle sue contraddizioni e che non è lecito scaricare .sulle spalle del proletariato, _ senza offrirgli i sufficienti mezzi di intervento, la responsabilità di essere il demiurgo razionale di un processo cosf fortemente irrazionale. Lo studio della scienza moderna aveva liberato Dewey dai miti positivistici. Egli aveva intuito esattamente che, mentre su piano metodologico la scienza moderna procede ormai per autocostruzione di risultati, la sua _incarnazione tecnologica, l'industria, cresce ancora sull'antichissima scheda dell' « imitatio naturae », cioè per mero sviluppo quantitativo, secondo l'einpiricissima cieca tendenza all'accumulazione senza limite rilevata con tanta esattezza da Marx 1 • Oggi possiamo ben constatare, dunque, che l'industria non solo non ha in~sé la potenzialità di sciogliere le proprie contraddizioni, ma che non ha neppure uguali probabilità di po~er essere utilizzata in senso positivo o negativo. Essa ha, anzi, il massimo di probabilità di condurre la vicenda umana all'aborto piu mostruoso, all'annientamento di sé, alla guerra nucleare. Di fronte a tanto, l'affidarsi ancora alla responsabilità delle leggi oggettive, il contare su di esse, lo sperare tenacemente che, indipendentemente dalla nostra coscienza e dal nostro intervento diretto, ci preservino dal disastro e ci avviino favorevolmente a scadenze vicine o lontane ad un varco, è il sogno certo di una coscienza alienata, fa parte del gioco, è l'esser~e presi, è la capitolazione di fronte ad una autentica responsabilità. Eppure è ciò che accade: in America e in Russia. In America, nella infinita, ingenua credenza conservatrice 1 Dewey ironizza addirittura sul problema : « Ad " impresa " viene dato il ·~ignificato di una certa auspicabile caratteristica _della natura umana, in modo · che il fatto viene sottratto al campo dell'osservazione e posto in quello delle opinioni, con in più un'intonazione elogiativa. " Impresa ", come iniziativa e industria possono essere esercitate in vista di un indefinito numero di oggetti: queste parole possono designare l'attività di un Al Capone, o di un sindacato di gangsters, come di una impresa industriale -socialmente utile » (Libertà e Cultura, Firenze 1953, p. 136-137). Biblìoteca 1noBianco

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