1194 Luciano Vasconi Il decreto-legge sui consigli operai, emanato il 19 novembre 1956, attribuiva a tali organi poteri di vera e propria « gestione >> delle aziende, anche se nel documento legislativo non era fatta una precisa distinzione fra le competenze del consiglio operaio e quelle del direttore dell'impresa. Il consiglio operaio, si leggeva in quel documento, «amministra» l'azienda a nome delle maestranze, l'azienda rimanendo proprietà nazionale; il direttore «dirige» l'attività dell'azienda e ne è responsabile davanti alla legge, è tenuto perciò a sospendere l'esecuzione di una decisione presa dal consiglio operaio se essa è contraria alle prescrizioni di legge o al piano economico. Il decreto prevedeva naturalmente i casi di conflitto fra le due autorità aziendali (e la funzione di arbitrato, o in ultima analisi di decisione, era affidata agli organi superiori governativi). Di fatto, pur no~ essendo sufficientemente chiarito il rapporto di poteri, il consiglio operaio si trovava in una condizione privilegiata, quale strumento di gestione diretta del1'azienda per conto dei lavoratori. Si trattava di un riconoscimento formale di estrema im-portanza, e la riforma era chiaramente di « tipo jugoslavo » (consigli operai con poteri di autogestione). Questo principio restò, però, unicamente sulla carta. In realtà i consigli operai polacchi non si videro mai riconoscere di fatto, e non furono in grado di assumere funzioni di gestione diretta. Da un lato per la loro intrinseca debolezza iniziale : sorti per lo piu con caratteristiche « protestatarie_» contro i vecchi sistemi di rigida centralizzazione stalinista, si .ridussero a semplici organi di rivendicazione sindacale, spesso anche per effetto di un'errata composizione interna, con prevalenza di impiegati (esperti nel conteggio delle spettanze) sugli operai è sui tecnici legati direttamente al process9 produttivo. Da ·un altro lato per effetto di un· contemporaneo dibattito che vide la maggioranza degli economisti e dei dirigenti politici e sindacali contrari a una « copia » del modello jugoslavo, nel quale si vedevano dei pericoli latenti : il rischio di una certa anarchia produttiva, il timore di compromettere il principio stesso della pianificazione 1 • Timore, quest'ultimo, accentuato dalla condizione di disorganizzazione ~conomica nella quale si trovava il paese appena uscito dalla esperienza di modello sovietico burocratico-stalinista. E fu questo stato di crisi latente a impedire di fatto la concessione, ai 1 Sulla debolezza dei consigli operai polacchi e sugli orientamenti degli economisti di _Varsavia in contrasto con il modello jugoslavo cfr. un mio articolo apparso su « Problemi del Socialismo» n. 5 del '58 (Consigli operai). Biblioteca Gino Bianco
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