· Televisione al secondo quesito di « Cinema nuovo», e che sono tutte favorevoli all'aper-- tura di una o piu stazioni televisive in concorrenza con la RAI-TV. L'introduzione della concorrenza nel campo 'della televisione· potrebbe portare solo, come ammette anche Paolo Gobetti nella presentazione dell'inchiesta; .a· un « enorme aumento» dei telespettatori (come è avvenuto almeno in Inghilterra) e a un ulteriore scadimento (che Gobetti, è vero, ritiene solo provvisorio) del livello generale delle trasmissioni. Il perché di tutto questo dovrebbe essere abbastanza chiaro. Strumenti di comunicazione come la radio e la televisione, di portata cosf universale e di tale importanza educativa, o disdeducativa, non possono già, in linea di principio, essere lasciati in mano . a privati. Quali potrebbero essere, del resto, questi privati? È chiaro che i mezzi necessari all'impianto e alla gestione di una stazione televisiva possono essere forniti solo dai grandi monopoli, o, che è lo stesso, dalla pubblicità . commerciale delle grandi ditte. Accanto alla televisione governativa, avremmo quindi, ·nel migliore dei casi, una televisione di Olivetti, di Marzotto o di Valletta. Il problema non ha nulla a che fare con quello della stampa, dove ·il limite minimo è di gran lunga inferiore, e consente, anche se in margini relativamente ristretti, quella concreta libertà d'i1 niziativa che è essenziale al funzionamento della vita democratica. Lo stesso si dica dei vantaggi che ci si ripromettono dalla concorrenza televisiva sul piano qualitativo e culturale. Poiché la televisione, per reggersi, deve rivolgersi necessariamente alla grande massa del pubblico, per non dire alla sua totalità: mentre un libro, un giornale, in una cert;i misura anche un film, possono accontentarsi di un pubblico selezionato o comunque ristretto, la televisione deve andare a tutti, e un vero e proprio miglioramento si risolverebbe quindi, in regime di concorrenza, in una gestione deficitaria. Qui, come in ogni altra impresa a carattere educativo e nazionale (poiché come tale dovrebbe intendersi, se volesse diventare qualcosa di diverso da quello che è), la concorrenza potrebbe esplicarsi, come nella scuola, solo nel se~so del peggio. È ciò del resto che conferma l'esperienza di quei paesi, come_ l'America, dove radio e televisione hanno sempre avuto una struttura privatistica, e a cui dobbiamo tutte le belle trovate e innovazioni che sono state appartate in questo campo. lnsom~a, sia il problema della democratizzazione (della rappresentatività) di questi istituti che quello della loro funzione sociale o formativa ' non possono risolversi in termini 'di mercato (di libera iniziativa e scelta del consumatore), ma devono essere affrontati da un altro punto di vista. Bene ha fatto quindi «L'Unità», in occasione del sequestro degli impianti della cosiddetta « televisione libera », a non unirsi al coro delle proteste, ma - con tutte le riserve necessarie· e contingenti - a impastare il problema nei . . . . . suoi g1ust1 term1n1. Biblioteca Gino Bianco -.
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