Passato e Presente - anno I - n. 6 - nov.-dic. 1958

Praxis ed empirismo Nei chiarimenti alla propria attività intellettuale che ha avuto occasione di scrivere dopo il XX Congresso, Lukacs ha distinto fra una fase positiva del1'esperienza stalinista, quella del periodo che va dal '24 al '30, della lotta contro Trotzkij, Zinoviev, ecc., nella quale, « come compagno di lotta)), ha egli stesso « vissuto l'azione di Stalin)); e una fase posteriore la cui negatività gli apparve sicura nel '48, con la rivoluzione cinese. Lasciamo cadere il giudizio biografico sul difficile equilibrio «esopiano>> di Lukacs durante il regime stalinista. Per ·Cases, Lukacs fornisce un exern- . plum humanae vitae degno di un futuro Diogene Laerzio. Tanto per fare un esempio, l'atteggiamento del filosofo all'epoca dei grandi processi (« riconoscevo la loro necessità storica senza preoccuparmi della questione della loro legalità))); la giustificazione che oggi egli dà di quel suo silenzio, anche allorquando ebbe compreso che si trattava della « condanna in massa di persone per la maggior parte innocenti)) (« Un comunista convinto poteva dire soltanto: right or wrong, my party >)>; il giudizio attuale su quei processi « Oggi ritengo che Krusciov abbia ragione quando ne rileva energicamente la superfluità storica))); reazioni di questo tipo, sempre subordinate alla tattica e alla strategia, possono per altri non appartenere precisamente all' ordine delle coscienze da immortalare. Se per Lukacs nei processi si può distinguere fra processi a Bukharin e processi a Rajk, per noi tutto questo, al di là di possibili maggiori o minori ragioni politiche, rimane un mondo e un modo interamente da respingere. Cases è invece ancora eticamente preso da quel mondo, da quel modo, preoccupato di sceverare, e fiducioso nei risultati di una prudente selezione. Non tutto lo stalif).ismo è cattivo, egli mi ricorda, bisogna distinguere in esso fra cultura, buona in sé, e cattiva organizzazione culturale. Sotto lo stalinismo, sostiene, la concezione del materialismo dialettico, per sé buona,. è stata svuotata e irrigidita da una cattiva organizzazione della cultura che l'ha ridotta a mera propaganda. Idem, per la parola d'ordine del realismo socialista, per sé buona allorché Gorki la propose e fu sanzionata nel '34; ma, coincidendo il '34 con l'inizio del peggiore periodo staliniano, putacaso quella parola d'ordine che non era un effetto della dittatura, divenne un suo strumento ulteriore. A questo punto, io obbietto a Cases che la distinzione fra il buono in teoria e il cattivo in p1 rassi appa~tiene a una filosofia di arrampicamento e di salvataggio in extremis, che non ha niente a che fare col giudizio storico marxista. È possibile per uno storicista distinguere nell'esperienza storica un momento in cui la verità teorica permane, intoccata dal suo cattivo uso terreno? Vien fuori qui, lampante, come il materialista dialettico non ragioni affatto storicisticamente. Nonostante i suoi ricorsi verbali all'indissolubilità di teoria e prassi, egli in pratica mal tollera come « zdanovista )) chi insista su di essa, preferendole lo strazio platonico di vedere l'idea e la verità, la teoria e la cultura, da una parte, .e dall'altra la loro transeunte corruzione pratica. Biblioteca Gino Bianco

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