Passato e Presente - anno I - n. 6 - nov.-dic. 1958

assato resente 677 Riforme di struttura: A. Giolitti 692 Marxismo cd economiaborghese:E. Lipinski 707 Inchiestasu unaparrocchia:L. Faenza 740 L'assistenza in Italia: L. Conti 75 I Recessione M.E.C.: G. PalermoPatera 769 Industria e classeoperaia:B. StcrnbcrgSarei 783 Ungheriae zdanovismo:A. Guiducci Note di Agazzi, CoUotti,A. Guiducci,Mottura, Soave N. 6 - novembre-dicembre 1958 ·Biblioteca Gino Bianco t

Sommario Antonio Giolitti, Alcune osservazionisulle « riforme di struttura ». Edward Lipinski, Marxismo ed economiaborghese. ' REALTA ITALIANA Liliana Faenza, Inchiesta su una parrocchia in Romagna. Laura Conti, Premesseper un servizio di « sicurezza sociale » in Italia. Giuseppe Palermo-Patera,« Recessione»eprime scadenzedelM.E.C. Emilio Soave, Giovanni Mottura, La Fiat sotto inchiesta. MONDO CONTEMPORANEO Benna Sternberg-Sarel, Industria e classeoperaia. Armanda Guiducci, Lo zdanovismoin Ungheria. NOTE E COMMENTI Discutendodi filosofiadellaprassi ed empirismologico (Emilio Agazzi, Armanda Guiducci). L'ultimo congressolaburista britannico (Enz~ Collotti). SEGNALAZIONI a cura di Carlo Cicerchia, A. G., Piero Melograni, Danilo Montaldi, Domenico Settembrini, M. 'l. Redazioni BOLOGNA - Via Mezzofanti 1 - Tel. 47.405. MILAN O - Via Calatafuni 12 - Tel. 8 5.7;. 80. ROMA - Via Uffici del Vicario 49 - Tel. 68. 19.86. Amministrazione TORINO - Via XX settembre 16. Segreteria di Redazione presso la Redazione romana. Abbonamenti Annuale L. 2400 (Italia). L. 4000 (Estero). Sostenitore L. 10 ooo (sul c. c. p. 2/15265). Un fascicolo L. 500. Direttore responsaJ?ile Carlo Ripa di Meana. Biblioteca Gino Bianco

ALCUNE OSSERVAZIONI SULLE « RIFORME DI STRUTTURA)) L'abitudine di dare per univoco e ovvio il significato del termine « riforme di struttura )) è stata ed è tuttora fonte di molti equivoci. Il tentativo di dissiparli è anche un modo di avvicinarci a una definizione precisa, atta a determinare esattamente il metodo e il contenuto di una politica che intenda imperniarsi sulle riforme di struttura. E a tale scopo il significato delle riforme di struttura dev'essere assunto con tutte 1~ qualificazioni necessarie per impegnare non soltanto all'individuazione e al perseguimento di determinati obiettivi, ma anche all'adozione di un metodo di azione politica che sia coerente con essi. Occorre dunque sgombrare anzitutto il terreno dai significati ambigui. L'ambiguità che piu frequentemente accade di riscontrare deriva - da una sottaciuta diversità di accentuazione: voglio dire che il termine formalmente identico può essere usato in due accezioni sostanzialmente diverse a seconda che l'accento si sottintenda posto sulla parola riforme o sulla parola struttura. Nel primo caso ci si trova di fronte a un sottinteso riformistico, per cui nel termine « riforme di struttura )) si nasconde un'implicazione polemica che sostiene la possibilità di una trasformazione graduale delle strutture effettuata in modo da escludere la necessità di un qualsiasi atto politico rivoluzionario, cioè di un atto che segni l'instaurazione di un nuovo rapporto di potere tra le classi sociali e il trapasso a una nuova formazione economico-sociale. L'implicazione dev'essere denunciata e rifi.utat~ come illegittima perché dà per ammesso in partenza ciò che invece può soltanto essere dimostrato nell'applicazione pratica di un determinato concetto di riforme di struttura. Nel secondo caso, ci si trova di ~ronte a un sottinteso economicistico, per cui si orienta tutta l'azione politica sulle strutture, trascurando o sottovalutando le soprastrutture: implicazione illegittima anche questa, perché solo dopo avere esplicitamente definito con quali metodi e strumenti s'intende operare sulle strutture per trasformarle si potrà stabilire quale debba essere l'azione sul piano soprastrutturale. 43 Biblioteca Gino Bianco

A ntonìo Giolitti Avendo escluso le due suddette implicazioni, dobbiamo proporci di giungere a una definizione delle riforme di struttura che comporti una non equivoca presa di posizione: a) di fronte alla tradizionale alternativa « riforme o rivoluzione)); b) di fronte al fondamenta!~ problema di carattere soprastrutturale, cioè quello della trasformazione dell'ordinamento giuridico e delle istituzioni politiche, che talvolta viene identificato col problema della conquista del potere tout court: e in questo caso si pone di nuovo un'alternativa, tra la realizzazione delle riforme di struttura «prima)) o « dopo )) la conquista del potere. Bisogna intraprendere il tentativo di definire nuovamente il concetto di «struttura)), perché anch'esso, come altri, soffre della mancata integrazione tra il pensiero marxista e gli sviluppi della scienza contemporanea. Da una parte, il concetto di struttura è rimasto anchilosato nel -gergo politico marxista; dall'altra, esso ha acquistato un significato aperto a molte qualificazioni e specificazioni, nelle quali rischia di svanire la dimensione sociale storica disegnata da Marx. Nella scienza economica contemporanea le esigenze dell'analisi strutturale vengono sempre piu largamente riconosciute 1 , ma non si può dire che il concetto di struttura ne abbia guadagnato in precisione : sembra che in quel cont~sto esso non possa esser definito se· non come un insieme di rapporti entro un ambito di luogo e tempo determinati; si distinguono le strutture fisiche, economiche, istituzionali, sociali, psicologiche; il complesso di tali strutture, nelle loro reciproche relazioni, costituisce il « sistema )) 2 • Il concetto di struttura cos1 definito non esclude né supera quello marxiano, il quale può invece considerarsi una sua specificazione, oltre·che un suo elemento originario. Infatti, l'origine dell'importanza che hanno acquistato i problemi strutturali nella scienza economica deve esser fatta risalire direttamente a Marx: fu lui ad attaccare e demolire il fondamentale assunto degli economisti classici, per i quali la struttura sociale caratterizzata dalla proprietà privata rappresentava un dato e non una variabile, una ipotesi teorica sottratta a ogni verifica empirica 3 • Con Marx la struttura sociale cominciò ad essere sottoposta 1 Cfr. per es. JoHAN AKERMAN, Structures et cycles économiques, Presses Universitaires Françaises, Paris 1955, vol. I, pp. 10 segg . • 2 Cfr ANDRÉMARCHAL, Méthode scientifique et science économique, Librairie de Médicis, Paris s. d., voi. II, pp. 169-90. I A un simile apriorismo si rifà in sostanza la corrente di pensiero neoliberista, . quando concepisce le riforme di struttura come una correzione delle deformazioni Biblioteca Gino Bianco·

Riforme di struttura ad analisi empirica anche da parte della scienza economica e poté esser considerata come una variabile nel processo analitico. È solo da quel momento che il concetto di struttura può diventare funzionale nell'analisi economica. La strada aperta da Marx è stata battuta in lungo e in largo - come abbiamo ricordato - dagli economisti successivi: ma lungo il cammino è evaporato il contenuto storicamente determinato di cui Marx aveva impregnato il suo concetto di struttura. Non per un antistorico desiderio di ritorno alle origini, ma per un'esigenza di concretezza storico-politica, crediamo possibile e proficuo un tentativo di reintegrare l'originale concetto marxiano nel concetto di struttura elaborato dalla scienza economica piu recente. Non si corre il rischio di uno sterile ibridismo, perché c'è una comune radice. E piu che di fondere due concetti, si tratta di operare una scelta, nell'ambito di quello piu lato, tra le categorie i cui rapporti costituiscono una struttura. Questa scelta, del resto, la opera anche l'economista non marxista quando, in relazione ai fini specifici della sua indagine, distingue e scevera tra fattori strutturali istituzionali, sociologici, demografici, ecc. Ai fini del- ~-'azione politica socialista, le categorie determinanti sono quelle che caratterizzano il modo di produzione, cioè i rapporti di produzione in senso marxiano: precisamente quei rapporti e quel modo di produzione che l'azione politica considera come suo oggetto e perciò come « variabili ». È in questo senso, dunque, che possiamo riprendere oggi la definizione marxiana della « struttura economica della società » come « il complesso (dei) rapporti di produzione, la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e politica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali di coscienza >> 1 ; come la « interna articolazione » 2 delle categorie della « società borghese »; come « l'organizzazione sociale » che « si sviluppa direttamente dalla produzione e dallo scambio, che in tutti i tempi costituisce la base dello Stato e della soprastruttura ideale (idealistisch-en) »3 • intervenute nelle strutture da compiersi « all'indietro » invece che « in avanti », cioè come un ripristino di quelle che assiomaticamente vengono assunte come strutture « normali ». Di qui, per esempio, la rivendicazione di una piena libertà per la iniziativa privata collegata al postulato di una struttura del mercato perfettamente concorrenziale. 1 KAR_LMARX, Zur Kritik der politischen Oekonomie, Struttgart 1903, p. Xl. 2 lnnre Gliederung: cfr. Einleitung in KARLMARX, Grundrisse der Kritik der Politischen Oekonomie, Dietz, Berlin 1953; nella traduzione italiana, Ed. Rinascita, Roma 1954, p. 50, si legge (con una interpretazione che ci sembra un po' libera) « interna struttura organica ». . 3 KARL.MARX,FRIEDP..~CEHNGELS, Die Deutsche Ideologie, Dietz, Berlin 1953, p, 33. . B"·blioteca Gino Bianco

, 680 Antonio Giolitti È naturale che il termine << riforma » si qualifica in modo specifico per il fatto di essere usato indissolubilmente dal termine « struttura ». Non si tratta del senso che attribuiamo al concetto di riforma, bens1 del significato che esso acquista per effetto del suo nesso con struttura. Senza dubbio, ciè che qualifica un procedimento di riforma non è tanto il limite posto alla vastità e profondità della trasformazione che con esso vuol operare, quanto la sua gradualità, che è simultaneità di distruzione e costruzione, affermazione del nuovo insieme con la conservazione e il potenziamento di ciò che di valido è già nel vecchio. Volere la riforma di struttura non significa limitare la propria azione alla correzione e modificazione : riforma può benissimo significare trasformazione totale. Tale ha da essere la riforma delle strutture: queste infatti, per loro natura, rimangono sostanzialmente intatte e continuano a condizionare negli stessi termini essenziali la realtà economica, sociale, politica, se non ne vengono mutati gli elementi fondamentali. Ma è tempo ormai di portare il discorso sul piano di una piu concreta specificazione dei nostri assunti e delle nostre ipotesi di lavoro politico. In primo luogo assumiamo che nella società italiana siano oggi opera11:tidue elementi caratteristici del capitalismo contemporaneo: dal lato delle forze produttive, il progresso tecnico legato ·al progresso scientifico; dal lato dei rapporti di produzione, la concentrazione industriale e l'oligopolio, legati a nuove forme di proprietà e di organizzazione aziendale. Per quanto riguarda il primo elemento, si deve notare che oggi agli argomenti addotti da Marx per dimostrare la tendenza alla « socializzazione >> delle forze produttive se ne aggiunge uno di particolare evidenza e portata concernente il progresso tecnico. Questo infatti non trae piu origine - esclusivamente o prevalentemente ·_ dalle innovazioni imprenditoriali (secondo lo schema schumpeteriano), ma viene sistematicamente perseguito in modo organico e organizzato dagli istituti di ricerca scientifica legati alla grande industria e da quelli creati e sostenuti dallo Stato. È vero che la utilizzazione delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecniche nella produzione rimane ancora affidata alle decisioni del capitalista o del manager, e quindi dipende ancora da considerazioni relative al profitto privato o all'interesse aziendale: ma la disponibilità delle scoperte e delle innovazioni è creata su scala sociale, cioè con metodi e con mezzi applicati in dimensioni molto piu vaste di quelle della impresa. Si può quindi dire che opera nell'ecoBiblioteca Gino Bianco·

Riforme di struttura 681 nomia capitalistica contemporanea un fattore di programmazione o almeno di approssimativa prevedibilità degli investimenti tecnologici che spinge verso forme di pianificazione almeno settoriali. Inoltre lo Stato può disporre di mezzi d'intervento, ·prima inesistenti, per orientare lo sviluppo tecnico. Per quanto riguarda· il secondo elemento, la conce11trazione monopolistica di cui si parla nel Capitale e nell'Imperialismo conserva ancora un valore per chi voglia tracciare uno schema generalissimo dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, ma è di assai scarsa utilità come strumento di analisi del capitalismo contemporaneo. Oggi è necessario vedere come la concentrazione industriale abbia modificato le forme stesse della proprietà privata e dell'organizzazione aziendale a quella connessa. La società per azioni ha permesso una dilatazione delle possibilità di uso e di abuso del diritto di proprietà che va ben oltre i limiti concessi al tradizionale capitano d'industria e al moderno « capitale finanziario>>. Anche quest'ultimo è ormai una figura d'altri tempi: il controllo della grande azienda conferisce un potere non soltanto sulla produzione e sul consumo ma anche sulle fonti di finanziamento; con l'alta percentuale di autofinanziamento raggiunta dalla ~grande azienda, la figura della banca d'investimento muore 1 e si trasfigura nelle banche d'investimento su scala internazionale, nelle quali però ·è determinante l'intervento degli Stati. Tale dilatazione dei poteri proprietari produce a sua volta una categoria di specialisti nell'esercizio dei medesimi : i famigerati managers. Siamo ben lontani, crediamo, da una disgregazione della proprietà privata, al contrario di quanto ritengono quegli autori - non soltanto di fede neocapitalista - i quali hanno creduto di poter empiric_amente constatare e schematicamente teorizzare tale disgregazione 2 • Ma è certo che la for1 Cfr. PAUL SwEEZY, The Decline of in the lnvestment Banker, in The Present as History, New York 1953, pp. 189-196: « Il dominio del capitale finanziario sul capitale industriale, che per un certo tempo fu interpretato come uno stato di cose piu o meno permanente, dimostra cosf di aver rappresentato una fase temporanea dello sviluppo capitalistico, una fase caratterizzata soprattutto dal processo di formazione di trusts,. concentrazioni e gigantesche società anonime. Fu proprio quel processo e spingere avanti il finanziere, e ora che esso è stato sostanzialmente compiuto, quel personaggio non ha piu :un ruolo specifico nella vita economica del paese. In termini generali, il declino della banca d'investimento è semplicemente la manifestazione esteriore di un inevitabile mutamento » (p. 195). ' 1 Vogliamo riferirci in particolare all'interessante e acuto saggio di RAIMONDO CRAVERI, La disgregazione della proprietà, Feltrinelli, Milano 1958, dove a peneBiblioteca Gino Bianco

.. Antonio Giolitti ma della proprietà privata dei· mezzi di produzione non è piu quella che conosceva Marx. L'azionista non è il «capitalista>> e questo non è piu l'imprenditore; il gruppo azionista di maggioranza o di controllo ha poteri proprietari assai pi{1vasti di quelli inerenti al capitale di su~ diretta proprietà, ma non può esercitarli nella forma imprenditoriale se non delegandoli ai managers; questi li esercitano in funzione di finalità aziendali che non possono non trascendere quelle del puro profitto capitalistico privato. Ne deriva uno sconvolgimento di tutte le dimens.ioni e_di tutti i limiti tradizionali : le dimensioni di produzione e di mercato dell'azienda sono quelle del monopolio e dell'oligopolio; mutano qualitativamente i problemi e i metodi di organizzazione del lavoro e del mercato di consumo; ai limiti che erano posti dalla concorrenza si sostituiscono quelli - su scala e di portata ben diverse - che vengono contrattati con le altre grandi potenze industriali, con i sindacati e con lo Stato. Rispetto a questo quadro (che può esser giudicato troppo sommario ma non fantastico) risulta inadeguata e semplicistica la formula del rotranti osservazioni sulle trasformazioni subite di fatto dal diritto di proprietà privata nella società anonima si accompagnano troppo rapide conclusioni sulla disgregazione della proprietà e il superamento del capitalismo. Se è vero e ben detto, ad esempio, che « giorno per giorno l'impresa, il sindacato e lo Stato vadano formando ed intrecciando in concreto, fuori degli ordini politici tradizionali del1' epoca liberale ed in contraddizione con essi, nuovi rapporti fra l'economia, la politica ed il diritto » (p. 21) e che « una nuova e giustapposta "divisione dei poteri " economici fra l'impresa, il sindacato e lo Stato è divenuto l'obiettivo strutturale fondamentale di ogni politica di democrazia reale » (p. 23), ci sembra affrettato e confuso concludere che « lo svuotamento metodico del potere economico del proprietario del capitale è perciò divenuta la effettiva condizione di fondo per fuorus~ire progressivamente dal capitalismo, ed, in particolare, per costruire uno Stato di nuovo tipo>> (p. 22): conclusione contraddittoria, perché è proprio lo spostamento del potere dalla proprietà al controllo dei mezzi dii produzione che ha spostato l'oggetto della lotta per « fuoruscire dal capitalismo )) dal titolo di proprietà all'attribuzione e all'esercizio del potere. D'altra parte. lo ste~so Autore riconosce (p. 30) che « gli imprenditori >) esercitano essi i poteri che derivano dal « fascio dei diritti proprietari >); è perciò troppo sbrigativo parlare sic et simpliciter di « imprenditori non piu proprietari », quando esistono ancora fortissimi legami tra proprietà e controllo, come è stato per es. dimostrato in Inghilterra nella polemica della sinistra laburista contro quelle tesi del Labour Party nelle quali il Craveri a torto vede un nuovo verbo del socialismo (cfr. pp. 52-53). Validissima e feconda di sviluppi ci sembra invece un'altra conclusione alla quale giunge il C., e cioè che « lo statalismo... non abolisce il monopolio, ma semplicemente lo pubblicizza, in quanto è la proprietà privata capovolta in pubblica, senza però che nel rovesciamento venga alterato o mutilato il primitivo contenuto di potestà assolute ed esclusive » (p. 33). Di grande importanza è ancpe la funzionalità ~conom_icarivendicata all'impresa (cfr. spec. pp.3g, 42 e tutto Jl cap. su « Il massimo d'rmpresa »). Biblioteca Gino Bianco .

Riforme di struttura vesciamento della proprietà privata in proprietà pubblica come superamento delle contraddizioni fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione. Riguardo ai problemi della tecnica, bisogna riconoscere che la proprietà privata ha mostrato di saper allargare i margini che essa può consentire allo sviluppo delle forze produttive: massicci ed evidenti sono, gli ostacoli che le forme proprietarie capitalistiche oppongono alla utilizzazione e diffusione su scala sociale del progresso tecnico; lo sono assai meno quelli che impacciano la scoperta e l'applicazione di innovazioni tecnologiche. Ma quei grossi ostacoli sono creati piu dalle forme di controllo e di potere che da quelle di proprietà. Il problema reale non è quello del titolo di proprietà - privata o pubblica - ma quello dei titolari effettivi dell'esercizio del diritto di proprietà e cioè dell'esercizio del potere. Del resto si sono profondamente modificati anche i fattori umani e sociali che potevano dare efficacia pratica alla formula del rovesciamento della proprietà privata in pubblica. La contrapposizione schematica tra borghesia e proletariato è uno strumento inadeguato alle esigenze attuali dell'analisi sociologica e dell'azione politica. Quello schema della lotta di classe era stato suggerito dall'esperienza delle conseguenze sociali della prima rivoluzione industriale e corrispondeva adeguatamente alla dinamica sociale dell'epoca: esodo dalle botteghe e dalle campagne, affiuenza dei proletari nella città e loro irreggimentazione nella fabbrica e nei quartieri d'abitazione, formazione di nuove leve di imprenditori capitalisti assuntori e sfruttatori di manodopera. Siffatta uniformità nei due campi avversi è ormai scomparsa. La qualifica di proletario o borghese - o, se si preferisce, di operaio o capitalista - fornisce solo una prima insufficiente approssimazione per determinare la struttura della società capitalistica contemporanea; cosf come la coscienza di classe è solo una compo11ente nel comportamento sociale dell'appartenente all'uno o all'altro strato. Altri fattori sociologici concorrono in misura determinante a configurare la stratificazione· e il comportamento sociale: qualifica professionale, rapporto d'impiego, abitudini di consumo, uso del tempo libero, ecc. 1 • E lo sviluppo delle attività terziarie 2 costituisce un fattore nuovo che in- - 1 Come osserva PAUL SwEEZY (Veblen e il capitalismo americano, «Società))' 1958, N. 3) già « il Veblen aveva riflettuto sulla relazione .tra disciplina derivante dalla professione e interesse -di classe >>. Cfr. TBoRSTEIN VEBLEN, Absentee Ownership, New York 1923, cap. I. 2 Attualmente negli Stati Uniti sul totale degli occupati gli addetti all'agricoltura costituiscono il 9 %, all'industria il 40%, ai servizi (escluse le forze ~rmate) Biblioteca Gino Bianco

Antonio Giolitti terviene a modificare - fino a invertirla - la tradizionale dinamica so-- ciale della proletarizzazione del ceto medio. Le riforme di struttura devono essere tali da modificare questa complessa articolazione di forze e forme economico-sociali. Non basta far leva semplicemente sulla contrapposizione dialettica di due classi sociali: quel punto d'appoggio è ur1'astrazione e non serve per sollevare il mondo. A meno che la contrapposizione si sposti sul piano internazionale, diventi una divisione di classi non piu in senso orizzontale tra sfruttatori e sfruttati ma in senso verticale tra Stati o blocchi o « campi »: allora sf, il mondo può sollevarsi; ma fino a scoppiare. Quello spostamento si sta verificando, per effetto di fattori di politica internazionale legati al fenomeno dell'imperialismo (sviluppo economico ineguale, aree sottosviluppate), ma a11cheper effetto di un dogmatismo ideologico che rimane abbarbicato a quella dicotomia e si limita a meri riconoscimenti verbali delle nuove realtà strutturali. La prospettiva attuale della politica comunista è una conseguenza del suddetto spostamento: all'azione nelle strutture della società capitalistica nazionale per la loro trasformazione dall'interno, si sostituisce l'azione di sostegno alla politica di espansione del « campo socialista )); la formq.la delle « vie nazionali )> h~ una funzione tattica, di adeguamento estrinseco - e starei quasi per dire psicologico - a esigenze e diffico1tà diverse, ma non sta a indicare la possibilità di metodi e contenuti intrinsecamente diversi della lotta politica per il socialismo in società nazionali diverse per la loro struttura. Ciò è perentoriamente dimostrato dal rifiuto di ammettere la possibilità di un'alternativa socialista al regime rakosiano in Ungheria e dalla condanna dell'alternativa jugoslava, la quale - come ha già osservato Carlo Meana su questa stessa rivista (N. 4, p. 543) - rappresenta un fatto di estrema importanza proprio come esempio r:oncreto di una via nazionale alternativa rispetto al modello sovietico. Ciò potrà essere ulteriormente dimostrato, ad abundantiam, da un'analisi della politica del P .C.I. riguardo alle riforme di struttura, dalla quale crediamo che dovrà risultare che, se non è mancato un serio sforzo di elaborazione e di propaganda e una spinta genuina verso la politica delle riforme di struttura da parte delle generazioni matt1rate durante la Resistenza, non vi è stato però un serio impegno di azione realizzatrice il_ 47% (forze armate 4 %). Cfr. anche la nota di A. P1zzoRNosul N. 5 di questa r1v1sta, pp. 663-67. Biblioteca Gino Bianco

Riforme di struttura 685 perché troppo coriacea era la rilt1ttan:za a concepire le riforme di struttura altrimenti che in funzione strumentale rispetto al fine del rafforzamento politico del partito e della conquista del potere politico dall'esterno. Anche alla luce di questa esperienza storica dovrebbe ormai risultare chiaro che le riforme di struttura hanno efficacia politica - già in sede programmatica - in funzione delle effettive soluzioni che esse possono dare ai problemi dello sviluppo economico e del progresso sociale in una società dove le contraddizioni create dallo sviluppo del capitalismo si articolano in una serie di nodi e non possono ridursi- a una semplice contrapposizione frontale di due classi. In quelle soluzioni sono contenute delle conquiste di potere e delle possibilità nuove di trasformazione in senso socialista. La politica delle riforme di struttura riconduce cos1 la lotta per il potere e per la trasformazione socialista all'interno delle strutture di classe della società capitalistica. Essa si profila perciò come un'alternativa storica alla prospettiva staliniana della competizione tra i due blocc4i, che sempre piu si presenta come una gara di conquiste tecniche e di produttività, nella quale i due contendenti sembrano sempre pi{1convergere verso il medesimo traguardo e orientarsi in base agli stessi giudizi di valore. Il rischio gravissimo ~ è che in questa gara il socialismo tenda a imitare il competitore 1 • Ciò - può essere storicamente giustificato quando il problema piu urgente sia quello - come lo è stato per la Russia - di colmare il vuoto di un'accumulazione capitalistica assolutamente insufficiente. Ma se si pensa che « le vie dei lavoratori per arrivare al potere e al socialismo sono diverse non soltanto in riferimento ai vari paesi, ma anche per quanto si riferisce alle varie · epoche », -- come afferma, con una espressione assai ricca d'implicazioni, il Programma della Lega dei comunisti della Jugoslavia 1 , - allora bisogna riconoscere che l'epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo nei _paesi dell'Europa occidentale è del tutto diversa dall'epoca in cui quel passaggio è avvenuto in Russia e in Cina e potrà avvenire negli Stati Uniti d'America. 1 Come scrive R. Gu1nucc1 (« Mondo Operaio», 1958, N. 6-7, p. 28), « le differenze fra i due sistemi rimangono rilevantissime. Tuttavia, in questo modo, il sistema socialista tende a sviluppare non tanto un volto proprio, quanto a perseguire un vantaggio, in stato di concorrenza con l'avversario. E, nella gara, il sistema socialista viene a stabilire come criterio di 1nisura non il grado di civiltà raggiunto, ma il grado di efficacia quantitativa, accettando, cioè, un parametro tipico del mondo capitalistico e universalmente usato nel confronto fra impresa e impresa:: industria e industria >>. 1 Cfr. trad. it. ed. Feltrinelli, Milano 1958, p. 42. Il corsivo n~l testo è mio. Biblioteca Gino Bianco

686 Antonio Giolitti È ovvio che le strutture, pérchè di effettiva riforma possa parlarsi, devono essere aggredite alle radici, non semplicemente scalfi.te alla superficie. In relazione al concetto che abbiamo delineato di riforma di struttura, deve risultare chiara l'inadeguatezza di una legge antitrust che si limiti a contrastare gli effetti del monopolio e non recida le radici della concentrazione del potere economico e politico, cioè non annulli il jus abutendi della proprietà assenteista e non instauri organismi e criteri di direzione e di controllo che garantiscano l'interesse pubblico. Parimenti, non sarà una politica di riforme di struttura quella che attribuisca all'impresa pt1bblica funzioni puramente sussidiarie - stimolatrici e complementari - nei confronti della impresa privata, poiché è proprio il rapporto istituzionale tra pubblico e privato nell'economia che deve essere modificato per incidere sulle strutture, e allora l'impresa pubblica deve assumere una funzione preminente e determinante nella programmazione degli investimenti, della produzione e dei prezzi. La nazionalizzazione o il controllo pubblico dei monopoli e la preminenza dell'impresa pubblica devono essere integrate, al fine di una trasformazione organica e non frammentaria delle strutture capitalistiche, da una riforma della società per azioni che non si limiti ad eliminare le aberrazioni manifestatesi sul piano giuridico e tributario, ma tragga le conseguenze del mutato rapporto tra proprietà ·del capitale e direzione dell'attività produttiva, in modo che l'istituto dell'impresa anonima acquisti una funzionalità economica nel quadro di una struttura volta al soddisfacimento dell'interesse pubblico prima che del profitto privato. La riforma agraria inciderà effettivamente sulla struttura quando alla limit?zione quantitativa della proprietà della terra si accompagnerà l'instaurazione di -forme di cooperazione che sostituiscano il capitalismo nelle campagne. L'intervento sempre piu vasto e profondo dello Stato nell'economia non costituisce di per sé una modifica delle strutture, fino a quando non sia risolto il problema gravissimo e urgente del1 'effettivo controllo democratico della spesa pubblica 1 • Risulta da quanto precede che l'azione politica riformatrice avrà incis9 nelle strutture, cioè avrà raggiunto la qualità della riforma di struttura, qua·ndo avrà modificato i rapporti di potere, cioè quando avrà sottratto alla classe sociale dominante una quantità di potere tale da modificare la struttura economico-sociale che è fondamento ed espres1 Sull'intervento dello Stato nell'economia capitalistica e in particolare sul capitalismo di Stato, cfr. il citato Programma della L.C.J., pp. 14-19 e 22-24. Biblioteca Gino Bianco .

Riforme di struttura sion-edegli _e_sistenti rapporti di potere. A questo punto bisogna ritornare - p.er p~ecisarla - alla definizione di riforma di struttura. Per l'azione pqlitica - la quale, per definizione, ha il potere come suo oggetto - la .struttura economico~sociale_assumeimportanza fondamentale in quanto è supporto di una determinata struttura di potere, cioè di una distribuzione del potere tra classi che ne sono investite e classi che ne sono escluse. La lotta politica è lotta per il potere. Quando il potere deriva da una determinata struttura economico-sociale, è lotta per la conservazione o la trasformazione di siffatta struttura. Nella società capitalistica originaria, il potere deriva essenzialmente dalla proprietà privata dei mezzi di produzione; nella società capitalistica contemporanea, il potere deriva in parte dal titolo di proprietà e in parte dal controllo d~i mezzi di produzione; nella società a proprietà pubblica, il potere cleriva esclusivamente dal controllo sui mezzi di produzione (di qui l'importanza decisiva del contrasto fra partito accentratore del controllo e forme consiliari decentrate di gestione della proprietà pubblica); nelle società primitive, può derivare anche da fattori di ordine religioso, biologico, ecc. La proprietà dei mezzi di produzione appare cosf una fonte di potere limitatamente a una determinata epoca storica; ed entro gli stessi limiti può considerarsi valida una divisione della società in classi tracciata lungo la linea della distinzione tra proprietari e proletari. Vale la pena di osservare che se davvero fosse sempre e soltanto dalla proprietà privata che cleriva la divisione della società in classi, la società per azioni dovrebbe costituire una forma di passaggio alla società senza classi : e infatti una simile ipotesi è adombrata nelle pagine del Capitale sulle società per azioni 1 • Ma l'esperienza storica ha dimostrato che né .il capitale « sociale » né il capitale pubblico sono sufficienti per superare la divisione in classi, perché non sono sufficienti per risolvere i problemi di potere e di libertà che sorgono nella società capitalistica e si riproducono in forme diverse anche nelle .società dove i·mezzi di produzione sono di proprietà pubblica. Le riforme delle strutture della società capitalistica contemporanea devono quindi raggiungere i seguenti fini interdipendenti: conquista del potere da parte delle classi che ne sorio -escluse perché non esercitano un controllo effettivo sui mezzi di produzione; esercizio di questo con1 Cfr. KARL MARX, Il Capitale, trad. it. ed. Rinascita, Roma 1955, vol. III, 2, pp. 122-125. Si veda al riguardo R. DAHRENDORF, Soziale Klassen und Klassenkonflikt in der .industriellen Gesellsc·haft, Stuttgart 1957, p. 29. Biblioteca Gino Bianco -

, 688 Antonio Giolitti trollo in forme democratiche tali da evitare una distribuzione del potere che riproduca una divisione tra classi dominanti e classi dominate; impiego dei mezzi di produzione secondo criteri normativi che non sono piu quelli del profitto privato e del rafforzamento del potere delle classi dominanti, bensf quelli dello sviluppo economico equilibrato e del benessere per il maggior numero 1 • Determinante, a questo riguardo, è il controllo degli investimenti: perché è questo che nella società industriale decide del ritmo e. del tipo dello sviluppo economico, dell'andamento dell'occupazione e del reddito, della struttura dei consumi. Perciò è di qui che deve essere aggredito il problema : le riforme di struttura cominciano di qui, dal controllo degli investimenti, che significa controllo della spesa pubblica (e quindi, parallelamente, anche della poli tica fiscale) da una parte, e dall'altra controllo dei centri in cui si operano le scelte decisive nel campo della produzione, cioè delle imprese pubbliche e dei gr~ndi complessi privati, specialmente di quelli che preducono beni strumentali durevoli che sono essenziali per lo sviluppo economico. Si potrà constatare che l'azione politica avrà cominciato a tradursi in effettive riforme di struttura quando nelle decisioni d'investimento dello Stato e dei grandi complessi produttivi eserciterà un peso determ-inante il criterio di scelta delle_classi lavoratrici e delle ma_ssedei consumatori, espresso mediante organi genuinamente rappre- . . sentatzvz. Il problema, perciò, non è soltanto di conquista ma anche di esercizio del potere. Come si garantisce che le scelte e le decisioni siano quelle dei lavoratori e dei consumatori? Si pone, fin da ora, un problema di istituzioni. Lo annotiamo qui soltanto per memoria, poiché esso esigerebbe un lungo specifico discorso. Ci limitiamo a osservare che per una « pianificazione democratica >> non sono suffici~nti le istituzioni rappresentative parlamentari. La partecipazione attiva del cittadino come lavoratore e consumatore alle scelte fondamentali di politica economica è frustrata da una delega di potere che di fatto diventa permanente e totale. Perché tale delega sia soggetta a limiti effettivi e a un controllo efficace, occorre che _gli strumenti essenziali dell'organizzazione politica nella società industriale - i partiti e i sindacati - siano, strutturati in 1 Osiamo servirci del termine « benessere )), pur essendo consapevoli delle critiche cui esso è esposto nella scienza economica, perché nel presente contesto ci sembra ancora valida l'accezione in .cui esso è usato dal Pigou (specificamente nel saggio Alcuni aspetti dell'economia del benessere, in Saggi sulla moderna « economia del benessere )),_ a cura <li F. Caffè, Einaudi, Torino 1956). BibliotecaGino Bianco

Riforme di struttura 689 modo che nel loro interno siano funzionanti e funzionali forme di demoGrazia diretta, almeno a livello della organizzazione locale per il partito e della fabbrica per il sindacato. Ci sembra che solo un siffatto metodo democratico, instaurato nei partiti e nei sindacati, possa concretamente far acquisire al lavoratore la consapevolezza della sua funzione all'interno del processo produttivo e tradurre tale consapevolezza in azione politica all'interno delle strutture. È difficile concepire come una simile azione possa - nella complessa articolazione della società contemporanea - svolgersi senza la mediazione dei partiti e dei sindacati. È difficile concepire forme di democrazia diretta per la gestione dell'azienda capitalistica odierna. Se all'espressione « azione politica all 'interno delle strutture » si vuol dare un significato reale e non fantastico o velleitario, bisogna chiarire che essa non si riferisce agli organi di direzione tecnica, organizzativa e amministrativa a livello aziendale co~c rive~dicazione di democrazia diretta rispetto ad essi, ·né presuppone che gli operai esercitino un loro potere contrappos~o a quello padronale sul piano della direzione aziendale. Ciò che si rivendica è che i lavoratori come classe - e quindi mediante le loro organizzazioni di classe, sindacali e politiche - elaborino e attuino (o lottino per attuare) una politica economica che tenda a rompere i limiti delle strutture, per la piena èspansione dello sviluppo economico democraticamente programmato e controllato. Il metodo democratico è dunque connaturato alla politica delle riforme di struttura: esso non è una delle vie possibili per l'attuazione di tale politica, ma è la via necessaria, unica; non è una scelta tattica, ma un'esigenza intrinseca alla stessa prospettiva dell'azione socialista. D'altra parte, il metodo democratico non è un'alternativa rispetto alla « rivoluzione ». Esso sta a indicare il solo modo in cui la rivoluzione socialista può essere effettuata nei paesi «occidentali>> 1 • L'azione socialista che si concreta nelle riforme di struttura non costituisce una scelta a favore delle riforme e contro la rivoluzione: anzi, essa scaturisce dal rifiuto a considerare valida l'alternativa « riforme o rivolu-zione », perché solo nelle riforme di struttura pu~ effettuarsi la rivoluzione socia1 Usiamo qui questo aggettivo anche nel senso assai pregnante che la parola « Occidente » ha nel seguente passo di Antonio Gramsci: « In Oriente, lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell'Occidente, tra Stato e società civile c'era un giusto rapporto e nel tremoHo dello Stato si scorgeva subito una robusta strut~ura della società civile >> (Cfr. Note sul Machiavelli, Torino 1949, p. 68). B·iblioteca Gino Bianco ....

, 690 Antonio Giolitti lista in « Occidente ». Perciò l'azione per le riforme di struttura fa tutt'uno con l'~zione per la conquista del potere, che non può consistere in un salto, nell'improvviso e catastrofico manifestarsi di un nuovo rapporto di forza - fino a quel momento latente - tra le classi sociali. È proprio nella graduale modificazione di quel rapporto di forza che si effettua la conquista del potere, che è inaridimento delle fonti da cui scaturisce il potere dei capitalisti e costruzione delle basi del potere delle classi lavoratrici. Ciò non esclude, evidentemente, che possa verificarsi, sul piano soprastrutturale, un fatto risolutivo per l'instaurazione di tale potere e quindi di una nuova formazione economico-sociale. Ma anche il fatto risolutivo si produrrà solo se saranno maturate nelle strutture le condizioni necessarie. I problemi di una efficace applicazione del metodo democratico per l'azione socialista sono finora rimasti in ombra, anche perché la costruzione delle basi economiche del socialismo nei paesi sottosviluppati ha dato priorità assoluta ai problemi di sviluppo economico 1 • Ma in una società nella quale il compito dell'accumulazione del capitale non si presenta con la stessa urgenza drammatica, gli obiettivi dello sviluppo economico non possono essere scissi, in una scala di priorità, da quelli del progresso sociale, civile e politico, cioè non possono non essere collocati nel quadro più complesso e organico dello sviluppo democratico. Se il secondo ordine di obiettivi venisse subordinato o posposto al primo, si avrebbe - nelle condizioni della società « occidentale >> - quello che L. Cafagna ha chiamato un « cattivo dinamismo >> 2 • Ciò equivale a dire che per noi oggi il metodo democratico è inseparabile - concettualmente e pr~ticamente - dal contenuto delle riforme di struttura. Da quest'ultimo si deduce la strumentazione concreta del primo. Se le riforme di struttura devono penetrare a un livello molto piu profondo di quello del1'ordinamento politico e giuridico, non saranno sufficienti gli strumenti offerti dalle istituzioni dello Stato. D'altra parte, se è essenziale la par1 .« Il socialismo ha cominciato a risolvere grandi e vasti compiti economici e sociali, tanto più difficili e complessi in quanto finora sulla via del socialismo si sono incamminati 'in generale paesi relativamente arretrati, le cui forze produttive erano scarsamente sviluppate e la cui classe operaia era poco numerosa; ~ ciò ha impresso inevitabilmente una sua caratteristica alle forme ed ai metodi dell'edificazione socialista fino ad oggi»: cos1 nel citato Programma della L.C.J., p. 26. 2 Cfr. l'articolo su Le alternative della pianificazione e la storia della economia sovietica, nel N. 2 di questa rivista, il quale costituisce una premessa fondamentale al ragionamento qui svolto, sp~cie per quanto riguarda la validità teorica e pratica della ipotesi di una « pianificazione democratica >>. Biblioteca Gino Bianco .

Ri f or1n·e di struttura tecipazione attiva delle classi interessate alla trasformazione sociale, saranno indispensabili forme di autogoverno e di democrazia diretta. Abbiamo già detto che nella situazione presente - di azione politica all'interno delle strutture capitalistiche - l'esigenza di quelle forme di partecipazione si pone, a nostro avviso, all'interno dei partiti e dei sindacati, i quali costituiscono l'articolazione vitale fra la società civile e lo Stato. Soltanto se questa articolazione funziona in modo effettivamente democratico, lo stesso si verificherà nelle istituzioni dello Stato, tra le quali il parlamento assume un 'importanza non esclusiva ma certo preminente quanto a rappresentatività e a funzionalità di controllo democratico del potere esecutivo. Ma e evidente che questa concezione del metodo democratico dilata di molto il concetto di democrazia oltre i limiti della democrazia borghese, nella quale il consenso è solo parzialmente espresso, è · spesso coartato o estorto, mentre la verifica pratica che occorre all'azione socialista non può esser data che dal consenso come partecipazione attiva, consapevole, critica. ANTONIO GIOLITTI B1blioteca Gino Bianco

MARXISMO ED ECONOMIA BORGHESE È apparso recentemente sulla stampa economica polacca « Zycie Gospodarcze )), nn. 16-17 e 22 del 1958) uno studio del prof. Edward Lipinski, che insegna storia del pensiero economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Varsav:ia, sul tema Marxismo ed economia borghese, co1ne intervento nella discussione aperta su tale argomento da Oskar Lange in « Polityka )), 1958, n. 9 (se ne può vedere la traduzione italiana in « Politica ed economia )), 1958, n. 3). Di tale intervento diamo qui di seguito una versione dovuta a Dario Tosi. Nel primo articolo (Valore, prezzi, costi), riferendosi alle discussioni che attualmente si svolgono in Polonia fra gli economisti sul tema dei modi di determinazione dei prezzi, il prof. Lipinski esamina il rapporto fra il valore, il prezzo e il costo cosi come si configura nel quadro delle vedute economiche delle scuole marxista e marginalista. L' A. afferma che la concezione marxista dei « prezzi di mercato >> oscillanti intorno al « prezzo di produzione >> ( dato, come è noto, dal costo di produzione piu il profitto medio) in modo da determinare una distribuzione di profitti supplementari o di perdite fra le imprese a seconda che queste producano al di sopra o al di sotto dei costi medi, deve ritenersi una concezione essenzialmente statica, corrispondente ad una economia allo stato stazionario. Essa ha rappresentato un grande passo in avanti nella storia della teoria economica, ma di fronte alle necessità di un esame del fenomeno dei prezzi in condizione di sviluppo dinamico della economia, non può rappresentare che un grado preliminare di astrazione. Analogamente deve giudicarsi la teorica marginalistica secondo la qualè i prezzi sono eguali ai costi nelle imprese marginali. Di qui il Lipinski passa a considerare il problema oggi piu dibattuto dagli economisti del socialismo, quello del modo di distribuzione dei fattori produttivi nel sistema economico, regolato nelle economie capitalistiche - secondo tutt~ la teoria tradizionale - dal meccanismo dei prezzi. Secondo la teoria marginalistica, come è noto, non solo i prezzi sono eguali ai costi nelle imprese marginali, ma tutti i costi marginali nei differenti settori devono essere eguali, altrimenti si può ritenere che vi siano degli errorì nella distribuzione dei fattori produttivi. Una simile v'isione - osserva il Lipinski - ha valore essenzialmente statico e può al massimo valere per il breve periodo, ma risulta inadeguata di fronte ai problemi di sviluppo di una economia in lungo periodo. Se poi ci si riferisce in particolare ad una economia pianificata, diventa inconcepibile che la distribuzione dei fattori produttivi possa avvenire mediante un tale meccanismo equilibratore. Saranno piuttosto le decisioni di investimento, motivate in larga parte da ragioni politiche, a determinare tale distribuzione. La teoria classica della distribuzione dei fattori produttivi non può valere quindi per il sistema economico socialista, nel quale Biblioteca l3ino Bianco .

Marxismo ed economia borghese pertanto i costi perdono quella funzione regolatrice che a loro veniva assegnata dalla teoria del valore. Quale è però - a questo punto - il criterio che presiede alla formazione delle decisioni pianificate d'investimento, cioè di distribuzione dei fattori produttivi? Questa distribuzione - sostiene il Lipinski - si realizza in base a considerazioni di ordiae sociale, e, in futuro, si effettuerà sempre piu in base a considerazioni di ordine morale. Ciò permetterebbe di affermare che fra la teoria del valore inteso come erogazione di lavoro sociale e la teoria del valore inteso come utilità per il consumatore, non solo non vi è contraddizione, ma che esse si integrano reciprocamente. E lo studioso polacco a questo punto ricorda che purtroppo la teoria economica marxiana (compresivi gli apporti di Engels) non è stata portata . a compimento. Entro queste premesse che sottolineano l'assoluta novità metodologica richiesta dai problemi dello sviluppo di una economia socialista pianificata, ma aprono al tempo stesso una prospettiva di piu larga utilizzazione dell'apparato scientifico dell'economia tradizionale, il Lipinski, nella parte dello scritto che qui pubblichiamo, cerca di precisare in che senso questa utilizzazione possa avvenire e quale ne sia il significato metodologico. Questo non può consistere nell'accettare il formalismo degli economisti del capitalismo nella determinazione delle regolarità della vita economica, sostituendo costruzioni tecnico-astratte alla ricostruzione di ciò che è storicamente reale, ricostruzione che deve partire dagli effettivi rapporti sociali di un dato sistema economico. Tuttavia si può e si deve distinguere il valore strumentale che, nell'operare sulla realtà. anche di un'economia socialista, possono avere gran parte delle ricerche formali sul reciproco condizionamento qelle grandezze economiche, dalla scarsa rapprtsentatività storica delle costruzioni teoriche entro cui queste ricerche sono organizzate dalle contemporanee correnti economiche occidentali. Per questa relazione diretta, fondata su immediate opportunità di pratica efficienza e non subordinata ad un exequatur ideologico, che l'A. stabilisce fra la teoria economica e· la politica socialista, l'intervento del Lipinski ci è sembrato di un certo interesse ai fini della discussione in corso su queste colonne intorno ai rapporti tra politica ed economia. In particolar modo merita attenzione il rife-- rimento alle conseguenze sperimentate di una rottura reale della relazione accennata nella economia polacca e alla copertura teorica che essa ha avuto in ·quel paese e in altri. Osserva il Lipinski che « i sistemi, le formulazioni economiche possono venire esaminati da que punti di vista: l'efficienza e la dinamicità. dei processi di produzione, oppure il ràpporto fra il proprietario dei mez~i di pro-- duzione e il produttore diretto». Sostenendo l'esigenza - per gli economisti del socialismo - di non trascurare una considerazione separata del primo punto di vista, egli critica come odierna forma di vulgaroekonornie Io scolasticismo insito in una ripetizione annacquata della polemica marxiana di un secolo fa. Secondo questa ripetizione, l'economia politjca non si occupa del primo punto di vista, che sarebbe il punto di vista della tecnologia, ma dei rap,porti sociali fra gli uomini nell'attività di produzione. In realtà, come osserva il L., i processi dli produzione, anche esaminati dall'angolo visuale della loro efficienza e dinamicità, sono sempre forme di rapporti sociali; e discorrendo della loro efficienza e dinamicità si discorre di rapportfi sociali. Lo scolasticismo, col pretesto di rifiutare la tramitazione di formulaziooi scientifiche inficiate da metodi che si riten44 Biblioteca Gino Bianco ....

, Edward Lipinski gono erronei, finisce assai spesso ·col rifiutare il contatto concettuale con la realtà stessa. Che la vulgaroekonomie abbia assunto questa forma rovesciata rispetto _all'oggetto della vecchia polemica di Marx non deve e non può stupire, quando si pensi che, nella situazione descritta dal Lipinski (e che è presente, come implicita prefigurazione, anche in molto marxismo occidentale) anche le possibili finalità apologetiche sono rovesciate. (l. ca/.) 1. - Equilibrio statico e dinamico . .Fra la scienza economica marxista e quella borghese (sempr.e che l'una e l'altra non siano puramente apologetiche) non esiste fondamentale contraddizione; contraddizione vi è solo fra capitalismo e socialismo. Marx chiamò col nome di " Capitale" la critica dell'economia borghese. La sostanza della scienza di Mar.x sta nella scoperta delle leggi specifiche di funzionamento e sviluppo - di vita e di morte - dell'economia capitalistica, dell'economia cioè il cui fattore decisivo è l'accumulazione del capitale, accumulazione di profitto originante dall'appropriazione del plusprodotto. Tutte le categorie dell'economia - capitale, moneta, valore, merce - hanno in Mar.x una essenza specifica, determinata dal tipo dominante di proprietà dei mezzi di produzione; la produzione è un processo di creazione di plusvalore, e non di beni per il soddisfacimento dei bisogni; il capitale è una somma di valore necessaria per la produzione di plusvalore, e non una provvista di mezzi di produzione. Perciò compito dell'economia, che analizza le leggi di sviluppo del capitalismo, non è affatto di esaminare le regolarità che reggono la produzione, i bisogni umani, il modo con cui_il produttore sceglit gli elementi della. produzione, le scelte dei consumatori, ecc. l¾.oduttore è il capitalista, che tende a massimizzar.e il profitto; il consumo, la sua misura e qualità, sono grandezze derivate, determinate dalle necessità del1'accumulazione di capitale. Per qual ragione Marx non si occupò del problema del valore d'uso, della domanda? È chiaro. « Costituisce una astrazione sbagliata - di_ceMarx - esaminare una nazione il cui modo di produzione si basa sul valore ed è organizzato in modo capitalistico, come una entità collettiva che lavora unicamente in vista dei bisogni sociali >> 1 • Cosi scrive Marx criticando Storch, il quale sosteneva che « i prodotti, che costituiscono il reddito nazionale, debbono, nell'economia politica, essere esaminati da un duplice aspetto; nel loro rapporto col produttore in quanto valore, e nel loro rapporto col reddito nazionale in quanto beni, poiché il reddito nazionale non è; come av1 K. MARX, Il Capitale, vol. III, tomo III, p. 266 (tr. it. Ed. Rinascita). Biblioteca Gino Bianco

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