Eligio Vitale la chiesa del suo sostegno economico darebbe alla sua attuale struttura un colpo fondr .1entale e la ridurrebbe alle modeste proporzioni di un raggruppamento di pochi « cattolici non atei », tenuti a pagarsi con i propri soldi la propria chiesa. Il giurisdizionalismo, anche se «moderno», anche se « negativo ))' non solo toglierebbe vigore ideale alla stessa rivendicazione, cui Vitale tanto tiene, della abolizione del concordato, ma non potrebbe mai del tutto smentire le sue origini, che sono quelle di una utilizzazione della chiesa come instrumentuni regni, sulla base del do ut des proprio appunto di tutte le conciliazioni e di tutti i concordati; che sono inoltre quelle di trovare un surrogato alla non volontà di condurre fino in fondo la lotta contro il cristianesimo medievale e controriformista. Questo veniva lasciato vivere, perché poteva sempre essere una utile carta di riserva, ma ci si tutelava mettendogli un carabiniere alle calcagna. In sede stqrica possiamo anche rendere atto a quel carabiniere di aver prestato qualche buon servigio; e, del resto, ben ricordiamo il filogiurisdizionalismo della Sinistra storica italiana. Ma altra deve essere, ci sembra, la prospettiva per il futuro. RISPOSTA DI E. VITALE ALLE OSSERVAZIONI DI C. P. 1. - Sono d'accordo con C. P. che egli parlava dell'opportunità di un nostro trinceramento anche entro i termini del concordato (il corsivo di quell'anche anzi è suo, nella nota da lui pubblicata), il che non escludeva « domani >>una lotta per l'abolizione del concordato stesso. Il fatto è che io ho ritenuto opportuno met- . tere l'accento «oggi>> anche su quest'altro aspetto del problema (natura inequivocabilmente fascista del concordato - J?.ecessitàdella sua abolizione), non considerando questa impostazione « massimalistica )), quanto meno in sede culturale. Quanto al mio pessimismo, purtroppo esso non è successivo all'intervento dei vescovi ed ai risultati elettorali qel 25 maggio: in1postai il problema in quei termini proprio leggendo il dattiloscritto di C. P. in occasione, appunto, della nota sentenza sul vescovo di Prato. (Peraltro non direi che io rimpiango che il vescovo non sia stato assolto: io sostengo solo che bisogna rispettare - e combattere - l'avversario per quello che egli è e non accusarlo di non essere quello che siamo noi; plaudo alla· sentenza che lo ha condannato, per quanto ritenga che essa non incida affatto sul _« regime >>, e, quanto alla assoluzione che « meglio avrebbe giovato alla dimostrazione della tesi che mi sta a cuore )), non metta C. P. limiti alla divina provvidenza, che probabilmente ce la ammannirrà in sede di appello, per la ovvia considerazione, confortata da varie altre istruttive vicende giudiziarie italiane di questi ultimi tempi, che se si trova per avventura un pazzo in mezzo a un popolo cosi saggio, difficilmente se ne reperirà poi un secondo, specie nei gradi superiori della classe dirigente). 2. - Questa volta sono io a dover difendere un'impostazione che « oscilla » su due corni di un dilemma. L'uno non vorrebbe escludere l'altro e direi anzi che l'implica: il nostro « neo-illuminismo>> come si può qualificare e differenziare del «vecchio-oscurantismo>> d1 santa madre chiesa, se non dibattendo anche (e in Italia!) i problemi dei rapporti tra religione cristiana-cattolica e società moderna? Tanto meglio se da questo dibattito (o piuttosto, da questa lotta di classi dirigenti) prenderanno spunto e conforto i cattolici illuminati o il1uminabili per iniziare essi stessi, nell.'interno della loro confessione, la lotta per una renovatio Ecc/eBibliotecaGino Bianco
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