Passato e Presente - anno I - n. 5 - set.-ott. 1958

• Socialisti e cattqlici che le esprime di quello che non fosse e non sia la generazione dello Jemolo, cattolico che « è nato e si è formato in un ambiente laico >>,come egli stesso dichiara (non cosi invece, ad esempio, il giovane Dorigo, che proviene dalle file dell'Azione cattolica): questo legame organico implica un impegno organico che o si accetta o si respinge, con minore possibilità di formarsi una posizione indipendente, « d'opinione >>ecc. Lo Jemolo, posto di fronte all'ordine perentorio dell'intero episcopato italiano ai cattolici d'Italia di votare uniti per il partito unico dei cattolici, pensa di poter « distinguere tra la dottrina e quanto resta estraneo alla dottrina; infine tra morale e politica. Spetta certo alla Chiesa indicare i fini ultimi che un cattolico deve proporsi, e i punti dottrinali in cui deve credere se vuole restare tale (....) Rispetto ai mezzi per conseguire questi fini ultimi (possiamo dire il fine ultimo d'una società cristiana) qui entriamo nell'ambito del contingente e non si può sicuramente parlare di punti di dottrina (...) E' evidente che l'attività politica rientra nella sfera dei mezzi e non Jn quella dei fini spirituali. La scelta è quindi un fatto autonomo e libero del cattolico>> (da « L'Espresso >>del 18 maggio 1958, nel convegno citato). Davvero non comprendiamo questa distinzione, perché ci sembra che il fine sia qualificato dai mezzi, e che due mezzi diversi significhino due di- \;ersi fini. Due politiche differenti non possono non voler dire due società c!ifferenti, e sia pure entrambe cristiane, di fronte alle quali comunque la chi~sa cattolica romana, che ha una sua particolare visione ed interpretazione del cristianesimo, non può fare a meno di prendere posizione. Cosi come, per esempio, per un socialista non è lecito dire: voglio il socialismo, la direzione sociale delle classi lavoratrici, ma mi è indifferente con quale mezzo questo fine verrà realizzato, se con la rivoluzione violenta o con la conquista graduale, se con la dittatura e l'accentramento burocratico o con il controllo operaio ecc. Comunque non vediamo come un cattolico possa ribellarsi all'imposizione di un «grave obbligo >>fattogli dall'intero epi~copato, col pretesto che si tratta di materia non di dottrina ma di politica. A noi pare che per un cattolico do~rebbe essere pacifico che l'assemblea di tutti i vescovi di una nazione sia competente a conoscere· e decidere se una questione riguardante la società cristiana di quella nazione è materia di dottrina oppure no, a definire il limite tra ciò che è obbligatorio in coscienza per un cattolico e riò che non lo è. Problema, questo, che non è ignoto allo stesso Jemolo, et sen1bra, quando serive: « Premetto che il mio pensiero è nel senso che la Chiesa non potrà mai ammettere di non avere il compito di tracciare la linea di divisione tra politica e morale e d'indicare dove sia l'obbligo di coscienza di votare per certi partiti e di non votare per certi altri ... >>( « Il !)onte», feb. '58). L'avanzamento o arretramento di questa linea di divisione ovviamente la chiesa lo effettua a seconda della maggiore o minore potenza che essa ha in un determinato momento e paese (solito passaggio s·blioteca Gino Bianco

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