Passato e Presente - anno I - n. 4 - lug.-ago. 1958

Praxis ed empirismo 441 tal caso al di fuori dell'interesse del filosofo, sia l'esigenza di individuare e promuovere e concretamente illuminare le forze che possono farsi portatrici (e collaboratrici) dell'ideale additato, sia quella di prospettare e discutere le formule di organizzazione sociale che ne condizionano in ultima analisi la realizzazione, con l'ovvio pericolo di lasciar fluttuare una (vuota) verità di ragione sopra una (cieca) verità di fatto. Preti scrive che « la filosofia sceglie un ethos piuttosto che un altro e non un partito piuttosto che un altro >> (p. 234). L'affermazione dovrebbe essere approfondita. Certamente fra ethos e partito non c'è né contatto immediato, né adesione puntuale né coincidenza di << area >>. Ma neppure vi è soluzione d1 continuità. Lo « schema )), omogeneo ai due termini, che media l'universalità dell'ethos con la particolarità del partito è l'intenzionalità dell'epoca con la sua dinamica sociale, la sua tensione ideologica, i suoi schieramenti · classistici ed etico-politici; è quella dimensione amplissima, plastica, sfumata che usiamo chiamare politicità. Ora la scelta e l'elaborazione di un ethos da parte del filosofo non implicherà necessariamente (e per ragioni altresf di coerenza se si tratta di un filosofo per cui « la tecnica è un elemento necessario e intrinseco di ogni conoscenza >>), una corrispondente scelta all'interno di quella dimensione e una vigile presenza in essa? Preti ha ottime ragioni teoriche ed ottime ragioni pratiche (il tradimento dei chierici di ogni colore) per affermare con forza il rapporto mediato ~ non immediato tra filosofia e politica e per dichiarare che il filosofo cessa di essere tale se si trasforma in propagandista politico (intesa la propaganda come discorso che mira alla persuasione comunque ottenuta); ma può il filosofo che ha perduto il proprio candore ·e la propria superbia nel contatto col materialismo storico, privilegiarsi in una funzione illuminatrice di guida spirituale, al di fuori di un consapevole impegno nella politicità, al di là di una chiara presa di posizione, non diciamo nel partito per i gravissimi pericoli che ciò comporta (specie se si tratti di organismo a struttura rigida), ma nel blocco storico? Ci pare insomma che il filosofo empirista e storicista, ben consapevole del fatto che una_ cultura democratica è possibile solo in una società democratica, non possa considerare adempiuta ed esaurita la propria missione nella· « diffusione della verità >> e nella « testimonianza della sua verità >> (p. 24 7), ma debba accogliere in quanto ha di valido, giudicandolo anzi come uno dei punti di discrimine fra vecchio e nuovo modo di essere filosofo, l'invito a considerare la realizzazione della filosofia con una esigenza della filosofia. FRANCO FERGNANI '- BibliotecaGino Bianco

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