Praxis ed empirismo del senso comune e quello dell'alta cultura (anche se unificata) sarebbero pur sempre staccati e giustapposti. È questa una contraddizione formale. Ma formale perché reale, e la colpa non è soltanto della filosofia. Finché il senso comune non potrà partecipare alla costruzione e quindi accedere alla verifica della classe delle scelte e delle decisioni (e non solo a quella delle conseguenze) la sua universalità sarà meramente biologica, preculturale, preistorica, e non potrà sollevarsi a quella universalità umana e perciò culturale e storica che gli consenta una effettiva presenza attiva nel processo civile. Se questa osservazione è valida, occorre, di conseguenza, ampliare il progetto iniziale per renderlo congruente al suo stesso presupposto che esclude l'autorità nella cultura e considera cultura soltanto quanto è accessibile universalmente. Si potrebbe cosf paradossalmente proporre un -sup- .plemento alla definizione di non-senso: non ha senso (e non è democratico) per un mondo compiutamente umano (storico) non soltanto il non-verificabile, ma il non verificabile dalla totalità o collettività sociale responsabile. Se, come dice giustamente Preti, « la sovranità è inalienabile », anche la possibilità della verificazione, che in ultima istanza la fonda, è ugualmente inalienabile. L'obbiezione va dunque ben oltre quella della preoccupazione della realizzabilità tecnica del cerchio pretiano, e pretende una maggiore prospettiva, altrettanto formale, ma non contraddittoria con il concetto di democraticità che si era scelto come presupposto. Ci pare, in breve, che la contraddizione non si possa sciogliere regredendo l'universalità umana a universalità biologica, né limitando la democraticità al patire la classe delle conseguenze, anziché mantenerla, carne è ovvio, al livello di presenza alla classe delle scelte (fra cui quella della stessa democraticità). Forse il criterio della verifica, limitata alla classe delle conseguenze, può servire soltanto come « verifica inversa »: là dove si può constatare l'impossibilità della partecipazione e del controllo alla classe delle decisioni, là certamente continuano e la disuguaglianza e l' esercizio del potere dell'uomo sull'uomo. Certo in questo modo il cerchio si spezza nel presente e si volge a spirale nel futuro. È il destino di tutte le filosofie della praxis di non potersi chiudere in circolarità. Ogni filosofia della praxis deve sopportare il paradosso dell'impotenza ad essere sistema: essa sarà filosofia (chiuderà provvisoriamente il cerchio) precisamente nel momento in cui si estinguerà come .filosofia, realizzandosi in un universo sociale, per riaprirsi immediatamente come filosofia (e per riaprire il cerchio) di fronte ai nuovi problemi da risolvere. E se Preti rimane, per alcuni aspetti non metafisici, giustamente hegeliano (ad es. nella definizione di concetto come processo), noi rimaniamo hegeliani nella versione o, meglio, inversione marxiana, proprio per la logica dialettica (che opportunamente è scartata da Preti come una possibile logica scientifica, ma che può _essere ancora accolta proprio perché non è altro che l'empirica logica storica delle contraddizioni reali del nostro tempo). Biblioteca Gino Bianco
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